SFIDE: L’ARCHITETTO CONTRO LA MARCA DA BOLLO

La marca da bollo è una specialità tutta italiana, come le auto che non si fermano per far passare i pedoni sulle strisce e l’applauso al pilota d’aereo dopo l’atterraggio.

L’eventualità che sia necessaria aleggia come un avvoltoio sulla carcassa di ogni professionista impegnato a sbrigare pratiche in un qualsivoglia ufficio pubblico. Altri stati hanno abolito la marca da bollo, in Italia invece hanno provato ad automatizzarla, ma tentare di pagare una marca da bollo con il sistema online richiede un procedimento complesso quanto il lancio della navicella Soyuz 7K-OK nel 1967.

Conosco un geometra che due mesi fa ha provato a pagare una marca da bollo in digitale ed ora è monaco cirtencense nell’abbazia di Morimondo (PV).

Secondo la legge esiste una serie di documenti che vanno presentati in bollo, in generale tutte le istanze per ottenere delle autorizzazioni. Il valore richiesto a volte è espressamente indicato, altre volte è misterioso. In genere dovrebbe essere 16 euro, ma spesso per presentare dei documenti vanno apposte altre marche da bollo su ogni singolo foglio aggiuntivo, da qui la tendenza per i professionisti ad utilizzare caratteri sempre più piccoli per la stampa e, per gli architetti, scale grafiche da “Tuttocittà”.

I più esperti in marche da bollo sono gli avvocati. Nei tribunali la marca da bollo è una specie di intercalare che si reitera all’infinito, tra le parole: “dica lo giuro” e “rinvio”. Non si sposta fascicolo senza che qualcuno attacchi una marca da bollo da qualche parte. So per certo che in una pretura pugliese per andare al cesso serve una marca da 2 euro.

Molti uffici hanno varato regolamenti interni per cui il valore della marca da bollo varia in funzione di elementi inimmaginabili dal professionista. Tipo: il giorno della settimana, il clima, l’età e la cortesia del richiedente, l’umore e l’orientamento politico del funzionario atto al rilascio.

In alcuni uffici pubblici esiste anche un mercato parallelo delle marche da bollo, una sorta di succursale della zecca di stato. Qualcuno può pensare si tratti di un’attività illecita, invece è solo un’opera benefica per fini sociali: un modo per dare nuova vita a marche da bollo che, dopo l’annullamento, si deprimono e che così, invece, possono tornare a sentirsi utili, come i vecchi quando diventano nonni.

La maggior parte delle volte l’architetto affronta la sfida contro la marca da bollo con una grande dose di diffidenza, presentandosi allo sportello senza averla affissa sul frontespizio dei documenti, sempre nell’illusione che non sia necessaria. Per gli architetti sentirsi dire la frase “è esente bollo” è liberatorio quasi quanto sentirsi dire: “mi sono venute” o “è benigno”.

Esistono leggende metropolitane che raccontano casi in cui l’architetto si è presentato in un ufficio per ritirare un autorizzazione che attendeva da anni, ma poi il funzionario gli ha chiesto alcune marche da bollo impreviste, senza le quali non si poteva rilasciare il permesso. Allora l’architetto è andato di corsa a cercarle, ma ha trovato tutto chiuso oppure la macchina per stamparle non funzionava o non c’era connessione. E’ dovuto tornare il giorno dopo, ma era Sabato e poi il Lunedi seguente ma l’ufficio non era aperto al pubblico ed è stato costretto a tornare il Martedi, quando però scattavano le ferie, e poi il “ponte” e poi i giorni di malattia ecc.. Nel frattempo la legge è cambiata e la concessione non si poteva più rilasciare: andava fatto tutto daccapo, quindi l’architetto ha dato “di matto” ed è scomparso e poi, dopo mesi di ricerche, l’hanno trovato impiccato ad un pino nel parco o a Morimondo insieme al geometra di cui sopra.

Molti scienziati si stanno applicando su questo problema della marca da bollo. Recentemente è stato pure enunciato il “ Teorema della marca da bollo” che stabilisce un nesso di non casualità tra le caratteristiche e la posizione degli uffici pubblici e quella delle rivendite delle marche da bollo. Il teorema così recita:

La distanza tra un ufficio pubblico e il più vicino rivenditore di marche da bollo è direttamente proporzionale all’imprevedibilità che queste siano necessarie”.

Sulla base del teorema, oggi l’architetto girà sempre con un tot di marche da bollo nel portafogli, di vari importi, anche minimi, nella fiducia di poter effettuare somme esatte, che, invece, puntualmente si concluderanno con totali ampiamente in eccesso.

Tra gli architetti, stante il clima di crisi ed immobilità del paese, si fa sempre più largo la prassi secondo la quale le marche da bollo vanno consegnate al rilascio delle autorizzazioni e, solo in quel caso, apposte anche sull’istanza. In questo modo l’architetto riesce a fronteggiare la sfida, evitando di abbinare alla beffa il danno.

Oggi gli architetti che aderiscono al regime forfettario hanno a che fare con le marche da bollo anche durante il rilascio delle fatture. Anche in questo caso la marca viene apposta solo all’ultimo istante, sempre nella speranza che il cliente, dopo aver detto la canonica frase: “che me la fate a fare questa fattura architè ?!”, dica anche: “che me la mettete a fare questa marca, architè?!

Per procedimenti dalla burocrazia particolarmente impegnativa, l’acconto che riceve l’architetto basta appena per l’acquisto delle marche da bollo.

Ecco perché l’architetto odia le marche da bollo: perché non riceve mai l’anticipo.

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