ARCHITETTURA PER CAPRE

E’ un periodo che si parla molto di capre.

La Capra da gregge, da latte, da monta. La Capra raffinata e la capra capra. Anzi la capra! Capra! Capra!.

Secondo la scienza la capra è un ruminante reazionario e stanziale, poco incline al cambiamento ambientale, timoroso e facilmente addomesticabile. In Italia il numero di capre è in continuo aumento.

L’indole, così mansueta, ne agevola la riproduzione; collabora pure la propensione a ricevere ordini (dal pastore o dal cane “da capra”) e di conseguenza la desuetudine a prendere decisioni in autonomia, che potrebbero affaticare il sistema cerebrale della capra, che geneticamente quindi, tende all’atrofia.

C’è chi sostiene che parte del segreto della resistenza delle capre, risieda pure nel ruminare e nell’adattarsi a qualsiasi tipo di nutrimento. Attività svolta da una sorta di pre-stomaco in grado di assimilare ogni tipo di materiale, più o meno commestibile.

E’ dunque seducente il mondo delle capre. Ma, nonostante tutto, a cotanto fascino non corrisponde altrettanta attenzione per il loro alloggio.

Che forse le capre non meritano un’architettura degna del loro ruolo ?.

Per tal motivo nasce l’“Architettura per capre”, della quale riconosciamo diverse forme.

La prima è il non fare. Cioè la “Nientarchitettura”. Perchè le capre, in fondo, non hanno bisogno di niente di differente da quello che hanno. Si accontentano delle naturali inclinazioni terrestri: grotte, pendii gradonati, baracche cadenti, capannoni abbandonati. E panche, sopra e sotto le quali cantare. La capra non chiede, l’architettura non da. Molte capre vivono così: nell’assenza.

Un altro risposta all’esigenza della capra è l’”Architettura capraleontica”. Valutando scarsa la rilevanza sociale della bestia, si sceglie di non dare troppo nell’occhio. Un’architettura timida, mimetica, imitativa del contesto, a volte ipogea a volte oblìotica. In linea con il carattere schivo della capra che accetta, lieta, di starsene riparata dagli sguardi e dalle polemiche. Un’architettura scadente e a volte impalpabile.

In alternativa, similmente al modo precedente, alla capra si può affibbiare una neoarchitettura già passata. Un finto vecchio. La capra mostrerà ancestrali sintomi di insofferenza, perché riconoscerà comunque la puzza di nuovo (la capra, come tutti i suoi simili, ha un buon olfatto), ma il suo rumine in quattro e quattr’otto, gli consentirà di digerire questa sovrastruttura geneticamente immodificata, fino a confonderla con il vecchio vero. Si tratta di un sistema già molto adottato: interi luoghi sono fintamente vecchi, tra gli addetti ai lavori questo stile viene definito “Architettura capreistorica”.

Si può anche far decidere completamente alla capra di quale architettura sente il bisogno. Assecondando ogni suo gusto e desiderio. E’ quella che viene generalmente definita “Architettura capricciosa” e che spesso produce risultati disastrosi. Sovente, durante la sua realizzazione, viene giustificata tramite il detto auto-consolatorio “Attacca la capra dove va il padrone”, variante radical chic dell’intramontabile ”Attacca il ciuccio dove va il padrone”.

Per capre d’elite, non passa mai di moda l’”Architettura caprareccia”. Un tipo di costruzione con richiami classicheggianti, citazioni archeologiche (d’altronde la domesticazione caprina ha origini antichissime, tra il 9000 ed il 10000 a.C.) e preziose decorazioni. Questo tipo di architettura produce quasi sempre costruzioni quadrangolari di media grandezza, isolate nella prateria, lungo statali deserte, ma visibili anche dai finestrini del treno, specie su tragitti estremi. Si tratta sostanzialmente di stalle, nel senso lato del termine, cioè luoghi dove si sta.

Per densità di capre particolarmente elevate, esiste anche pure l’alternativa povera, la cosiddetta “Architettura caprina” o “Architettura capreggiata“, che prevede un gran numero di stalle affiancate e sovrapposte; sempre di geometria pressappoco quadrangolare ma sviluppate in altezza, a livelli sovrapposti, per capre in grado di superare dislivelli, anche meccanicamente, e che accettano naturalmente la convivenza di gruppo, anche se in celle separate. Una sorta di gregge frammentato con la tendenza all’affaccio, da qui la balconata, o all’asciugatura della pelliccia. Capre non sole ma al sole.

Un’ultima opzione, molto simile alla prima, è quella di affidarsi all’architettura immaginaria. E’ una tendenza contemporanea che si manifesta di frequente in Italia, dove le procedure per l’edificazione sono particolarmente farraginose. Tale procedimento tende ad accontentare sia le capre che i controllori, scontentando solo isolati mandriani o amanti del genere “imprese impossibili”, infaticabili sognatori e tenaci progressisti. Il procedimento è semplice: si fa una gara, chiamata “concorso”, per un’architettura nuova, contemporanea, a volte rivoluzionaria. La gara prevede molto impegno e dispendio di mezzi, nonché il trascorrere di parecchio tempo durante il quale tutti gli allevatori partecipano al dibattito.

Quando si è stabilito come fare la nuova architettura, una rappresentanza dei pastori che controllano il gregge, si mette a fare un gran chiasso. Così le capre, disorientate, si spaventano. Si sviluppa un impensabile caos durante il quale alcuni butteri si mescolano tra le capre. I cani abbaiano, gli avvoltoi volteggiano nel cielo e le oche starnazzano nello stagno. Intanto, cowboy improvvisati si ergono a paladini della prateria, tutti diventano esperti di arte, capre e pascoli. Per salvare capre e cavoli, alla fine non se ne fa più nulla. Le capre continuano la loro vita come se nulla fosse accaduto, a volte persino ignare di tutto.

Questo acrobatico ribaltamento di campo, un vero e proprio triplo salto mortale, da il nome a questo tipo di architettura che viene chiamata “Architettura a capriola”, o per brevità “Capriolarchitettura”.

Per l’architetto, talvolta o per costrizione amante della pastorizia, l’ultima soluzione è particolarmente avvincente; raramente può, come in quei casi, sentirsi così protagonista della controversia.

Perdente, inappagato, nel suo ruolo di “capro espiatorio”.

(L’immagine è tratta dal sito bambiniinfattoria.it)

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