L’ARCHITETTURA DEL “VASCIO”

Con le recenti normative, meno restrittive, sul recupero ad uso abitativo dei piani terra, si è aperto finalmente il grande dibattito sull’architettura del “Vascio”.

Dicesi “vascio” il locale terraneo degli edifici con ingresso dalla strada; l’etimologia del nome è piuttosto banale: la casa è detta cosi perché posizionata al piano “vascio” cioè “basso”.

Il “Vascio” ha chiaramente alcuni limiti caratteristici dei vani al piano terra non destinati naturalmente ad usi residenziali.

Innanzitutto è quasi certamente senza luce ingrediente, a parte l’entrata. Ha dunque scarsa areazione ed è soggetto ad alcuni inconvenienti, soprattutto igienico-sanitari, legati alla vicinanza con la strada: invasione di odori, rumori, animali  randagi, testimoni di Geova e rapinatori.

Dal punto di vista più prettamente architettonico, giova ricordare che originariamente il “vascio” è essenzialmente costituito da un unico ampio locale (originariamente un deposito, un garage…), al quale, nel momento della sua rifunzionalizzazione, vengono apportate delle modifiche.

Le modifiche non sono frutto di un progetto architettonico, ma da un freddo calcolo delle esigenze, legato principalmente dal numero degli abitanti insediati. Ne consegue che il progettista del “vascio” è generalmente il proprietario stesso, fiancheggiato da un muratore complice.

L’ambiente all’ingresso è sempre destinato alla cucina-pranzo. Per questo motivo, dalla strada, è sempre possibile sapere il menù del giorno a pranzo e a cena, sia tramite ordinarie abilità olfattive che, per i meno capaci, sporgendosi leggermente verso l’interno.

Difficile che si possa parlare di “living”: il soggiorno infatti, viene traslato fuori dalla porta di ingresso, con lo spostamento delle sedie migliori sull’uscio, a volte anche poltrone o il divano. Il soggiorno sul marciapiede del “vascio” è la risposta autentica dell’architettura contemporanea al problema dell’individualismo della società contemporanea.

Si tratta di un vero e proprio modello sociale, molto più efficace dell’unitè d’habitation di Le Corbusier e del Falansterio di Fourier.

Ma non solo: il “vascio” come oggetto d’architettura è un formidabile esempio di spazio fluido, tramite un compiuto annullamento della separazione tra “interno” ed “esterno”, un ideale più volte inseguito, non sempre con successo, da Mies Van Der Rohe o da Philip Johnson.

Internamente, in base al numero degli occupanti, vengono create una o più stanze, tramite delle tramezzature (a volte in cartongesso) nelle quali saranno ammassati dei posti letto. Spesso le pareti divisorie del “vascio”, per garantire un minimo di ricambio d’aria, non raggiungono il soffitto, causando contemporaneamente sia lesioni della privacy che equivoci durante eventuali discussioni.

La prima miglioria, però, riguarda la creazione del bagno. In genere “il vascio” è già dotato di un posto solo il lavello e la tazza. Il progettista del “vascio”, viceversa, ritiene sia essenziale dotarlo di un bagno confortevole, per questo viene notevolmente ingrandito, spesso a danno delle camere, nelle quali si finisce per ritenere tollerabile persino la soluzione dei letti “a castello”.

Alcuni “vasci” particolarmente pregiati, riescono a ritagliare anche lo spazio per un secondo servizio igienico. Ovviamente i bagni sollevano in maniera più urgente, il problema dell’areazione. Solitamente questo inconveniente si risolve con delle ventole motorizzate che funzionano anche da deumidificatori; anche in questo caso la consulenza progettuale è fornita direttamente dal proprietario, o dal muratore, o da un parente di uno dei due che si occupa anche di termodinamica, ventilatori e zanzariere.

In ogni caso, spesso, nei “vasci” si ode senza soluzione di continuità un rumore di sottofondo tipo di impianto elettrico in cortocircuito. Tipo nei “sassi” di Matera. Nonostante questo, il “vascio” contribuisce ad abbassare i livelli di inquinamento nell’aria, cioè fa parte delle “Green housing”, in quanto non necessita di condizionamento estivo poiché naturalmente fresco.

In “vasci” di piccole dimensioni, invece, posizionati su vicoli o cortili interni, si ritiene quasi inevitabile posizionare una fontanella esterna per sbrigare alcune operazioni sanitarie direttamente sul marciapiede.

Spesso in zone di mare, i “vasci” vengono destinati a case vacanze. Se il cambio di destinazione d’uso non è stato ancora assentito, l’operazione viene fatta “a nero”. In questo caso il numero degli occupanti è indefinito e varia da 2 a 200, a seconda delle ferie, le malattie, le neo-nascite ecc. In  ogni caso, tutti sono avvertiti: se si presenta la guardia di finanza, devono dire che sono amici del proprietario e che si sono solo eccezionalmente, per una notte sola, “appoggiati” in questo piano terra, per una qualche causa imprevista, che può essere uno sfratto come un terremoto.

Quando il “vascio” utilizzato come casa vacanze estiva è molto piccolo, i sociologi più attenti hanno osservato il verificarsi del fenomeno dell’”alternanza abitativa”: è il capo famiglia a stabilire una rotazione delle presenze per alleggerire il carico urbanistico dell’immobile. Tale turnazione è praticamente inevitabile per l’uso del bagno, ma, in casi più gravi, anche per quello dei posti letto. Per questo, alcuni abitanti del “vascio minimo” trascorrono l’intera vacanza come sintonizzati sul fuso orario di Melbourne.

Infine, specie se “in nero”, il “vascio” realizza il sogno di tutti i vacanzieri italiani: farsi le ferie al mare spendendo poco. Praticamente un ossimoro. Per questo il “vascio” rientra di diritto nella categoria delle case ideali.

Gli architetti finora hanno sottovalutato il valore architettonico del “vascio”, snobbando potenziali incarichi poiché sfiduciati dall’irrilevante problema della destinazione d’uso.

Lasciando ad incompetenti, muratori e cugini di questo e quell’altro il compito di coniugare il grande tema dell’architettura del “vascio”.

foto tratta dal web (sito vesuviolive)

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