L’ARCHITETTO IN TUTA

Sarà per lo scoramento, per la mancanza (o l’eccesso) di autostima o forse, semplicemente, per inevitabile decadimento professionale, ma l’architettura contemporanea ha un grosso problema da risolvere: l’architetto in tuta.

Mai, prima di questi tempi grami, l’architetto si sarebbe azzardato ad uscire di casa in tuta.

E ancora di più adesso: considerate le responsabilità, il livello di competenza richiesto, l’autorevolezza e l’indispensabile credibilità, un architetto non dovrebbe mai mostrarsi al mondo in tuta.

Siccome esistono vari tipi di tuta, puntualizziamo che, in questo caso, per tuta si intende quella ginnica. Trattasi di indumento comodo, spesso monocolore, prettamente maschile (la donna in tuta appartiene ad altra categoria di stile) che sembrava sparito ed invece è tornato con prepotenza nel guardaroba, non solo dell’architetto.

(N.B.: Non parliamo dell’architetto sportivo: quello è un altro discorso. Che poi, quanti architetti, coi tempi che corrono, trovano o possono permettersi il tempo per praticare uno sport ?).

Sia chiaro: non è un problema solo dell’architetto: la degenerazione dei costumi professionali ha contagiato tutti: avvocati, ingegneri, commercialisti, medici, imprenditori pluridecorati, professori vantanti conclamato credito. Tutti, pericolosamente, risucchiati nel vortice della tuta.

Sono stati fatti degli studi sull’argomento.

Il monitoraggio è stato effettuato nel luogo ideale per l’osservazione del professionista in tuta: il centro commerciale, preferibilmente il sabato pomeriggio o la domenica. Per condurre la ricerca sono stati ingaggiati centomila stagisti di Gucci, e sono stati piazzati lungo i viali di altrettanti centri commerciali italiani (il centro commerciale è la vera piazza contemporanea).

Piccola parentesi scientifica-sociale: l’uomo in tuta si accompagna quasi sempre con una donna non in tuta, anzi, per compensazione, elegantissima, come se fosse in procinto di recarsi ad un ricevimento dai reali inglesi. L’accoppiamento non deve stupire poiché aderisce perfettamente al “Primo teorema della coppia con uomo in tuta” che stabilisce che “In una qualunque coppia che si reca al centro commerciale in un giorno prefestivo o festivo, se l’uomo indossa la tuta, la quota di eleganza deve rimanere pari ad un quantità fissa detta costante di indecenza”.

Tra la popolazione crescente degli uomini in tuta, il professionista/intellettuale si riconosce subito da alcune caratteristiche, tra le quali la più evidente è la poca dimestichezza con il capo d’abbigliamento in questione. C’è ancora imbarazzo, impaccio, timore di essere osservati, come nella migliore tradizione degli ansiosi con manie di persecuzione.

Ad agevolare le fobie sono spesso gli abbinamenti, solitamente del tutto incoerenti. Ad esempio con le scarpe, che non sono mai consunte quanto la tuta: o distrutte da anni di cantiere o nuovissime che puzzano ancora di gomma fresca.

Altri vengono traditi dal calzino: o un paio di “Harrys of London” oppure un esemplare di spugna bianco da tennis sporco di terra battuta che neanche al preliminare del Roland Garros.

Alcuni, matricole in tuta, per imperizia, esibiscono le triacetato grigio metallizzate che in caso di sfregamento con altre simili producono scintille incandescenti come i fornelli di una cucina a gas; in questo caso si tratta di tute conservate dagli anni ’80, cioè quando erano adolescenti ed era ancora legale indossarle.

Tra questa giungla di uomini in tuta, l’architetto è solitamente quello più creativo: con uno slancio alla Lapo Elkann personalizza il suo outfit con variazioni originali, tipo lo “spezzato” bicolore (ovvero due tute diverse) o eliminando la calzatura ginnica e azzardando la sneakers in tessuto per darsi un tono da sportivo radical chic.

Alcuni professionisti, pure architetti, impossibilitati a staccarsi completamente dal lavoro o sradicati di forza da straordinari in studio, sono costretti a portare con sé alcuni strumenti per la reperibilità e l’assistenza assoluta (neanche fossero operatori della croce rossa): smartphone, tablet, pc portatili ecc. Non essendo sufficientemente capiente il marsupio da posteggiatore, molti ripiegano sul borsello, oppure sulla borsa in tela a tracolla che fa molto guerra in Vietnam. Gli integralisti non si fanno problemi e abbinano alla tuta anche la ventiquattrore di pelle.

L’architetto in tuta al centro commerciale inoltre è facilmente identificabile a causa della sua propensione a visitare negozi di nicchia, talmente esclusivi che, infatti, al centro commerciale non ci sono quasi mai. Tipo design store, show room di arredi bagni o altri negozi comunque con nomi stranieri. Architetti in tuta si possono ritrovare, incantati, davanti alla vetrina dell’agenzia viaggi o immobiliare e, ovviamente, al reparto “arti e architettura” della libreria, anzi del bookshop.

Alcuni architetti in tuta sono così felici di questa improvvisa libertà di costumi, che al primo momento di distrazione della compagna scappano a vedere la partita allo stand della pay per view o, pervasi da improvviso spirito olimpico, irrompono da Foot Locker e comprano un completo da running da 350 euro.

In alcuni casi l’architetto, invece, è quasi costretto ad indossare la tuta per il centro commerciale. Sono gli architetti-neopapà che, mentre la compagna è impegnata in un pellegrinaggio tra decine di negozi di abbigliamento, deve badare alla prole che mostra l’entusiasmo tipico dei nuovi deambulanti, che dunque vanno rincorsi per chilometri e salvati dal risucchio delle scale mobili con balzi felini altrimenti impossibili.

Quello che gli scienziati ancora non hanno ben compreso è se l’architetto in tuta sia causa o conseguenza del declino della figura dell’architetto e dell’architettura in genere, nella società contemporanea.

O, viceversa, il preludio alla sua riscoperta.

Che forse la tuta sottintende un nuovo linguaggio architettonico scevro da orpelli e complessità? Ci fa, magari, intravedere un bisogno mai celato degli architetti di fare un po’ comecazzoglipare fuori dalle dottrine classiche e gli stili dichiarati? Sarà la tuta a liberare gli architetti dai vincoli di una normativa asfissiante e dai burocrati sovrintendenti ?. Non si sa.

Intanto, più in generale, altri si interrogano sul ruolo, ancora marginale, della tuta all’interno dello scadimento dell’attuale classe dirigente. Ancora dominata dalla felpa e dal mocassino.

Io già ce lo vedo il premier in tuta.

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