L’ARCHITETTO E IL CASTELLO DI SABBIA

Quando è estate e si reca in spiaggia, finalmente, l’architetto può costruire qualcosa: il castello di sabbia.

Si potrebbe dire che gli architetti oggi sono abituati a costruire “castelli di sabbia” specie in relazione alle loro aspettative professionali, ma sarebbe una battuta troppo semplice.

Il castello di sabbia, per l’architetto italiano contemporaneo, rappresenta l’unica possibilità di realizzare qualcosa senza il timore di essere arrestato. Perlomeno non ancora.

L’unico parallelo possibile è quello con il presepe, per cui, al pari del castello di sabbia, ancora pare non vi siano permessi da chiedere.

Quando in spiaggia bisogna costruire un castello di sabbia e si sparge la voce che c’è un architetto nei paraggi, questi subito viene convocato sul bagnasciuga per dare una consulenza. Tutti intendono sentire il parere dell’architetto, tranne il figlio che, già vittima del complesso di Edipo, se ne frega e lo fa come vuole lui.

Quando un architetto intende costruire un castello di sabbia, per prima cosa, per deformazione professionale, si informa se il suolo è demaniale, demaniale in concessione o privato. E’ un informazione che non cambia molto la situazione ma, comunque, viene acquisita per sicurezza.

Quindi è tentato di recintare l’area e di apporre un cartello compilato in ogni sua parte. Operazioni che però, per brevità, elude

Successivamente scava un largo e profondo fosso nel quale fa accidentalmente cadere alcuni anziani che già erano appostati nei dintorni, pronti a criticare il cantiere. Gli anziani vengono coperti da uno strato di sabbia compatta che rappresenta la fondazione del castello.

A questo punto si giunge alla scelta del materiale da costruzione vero e proprio: la sabbia; operazione che l’architetto affida ad esperti del ramo: ovvero a bambini compresi tra i 3 e i 7 anni d’età. Ai quali chiede anche di prestargli i secchielli e le palette per dare la forma al castello, a meno che non si sia portato l’attrezzatura da casa, in questo frangente però si può tranquillamente parlare di “costruzione dolosa preterintenzionale”.

Mentre i bimbi portano la sabbia, l’architetto può dedicarsi alla scelta del linguaggio architettonico, lo stile e le eventuali citazioni colte che intende fare per darsi un tono.

Intanto, durante l’esecuzione dei lavori, l’architetto viene avvicinato da altre figure professionali che vogliono offrire il loro contributo; tipo: un chimico che sostiene che la sabbia andava bagnata meno (o di più), un medico che consiglia di sollevare la sabbia piegando le ginocchia per non affaticare la schiena, un ragioniere che suggerisce l’acquisto dei secchielli in un centro commerciale di sua conoscenza con un risparmio di circa il 20%, un ingegnere che afferma che per una corretta presa della struttura, prima della sforma, bisogna aspettare dalle 24 alle 36 ore, un geologo che dichiara che quel terreno non è adatto per le costruzioni e che, comunque, prima andavano fatti dei saggi per verificarne la consistenza. E altri ancora.

Gli anziani non dicono niente perché o sono nel fosso o hanno capito che non è aria.

Architetti mitomani arricchiscono ed irrigidiscono il proprio castello di sabbia inserendo elementi in legno, pietre o ferri di armatura. La plastica no, perché Greta non vuole.

Il cantiere viene aperto e chiuso in mattinata come gli interramenti dei tubi del gas che causano file chilometriche nelle ore di punta.

C’è grande attesa intorno al castello di sabbia realizzato da un architetto. Speranze che non sempre trovano conforto nell’esito pratico, nonostante l’architetto si affanni ad apportare alcune modifiche in corso d’opera, ipotizzando finestre a nastro, tagli di luce e temerari sporti. Tuttavia, quando il castello di sabbia è terminato, l’architetto, orgoglioso, si fa un selfie e posa per curiosi e sostenitori.

Questo almeno finché non compare sul bagnasciuga la figura più temuta: un altro architetto che, immancabilmente, lo criticherà. A quel punto tutto degenera in una rissa verbale che proseguirà in un editoriale di Domus.

Sostanzialmente, se il castello di sabbia non crolla entro un minuto, l’architetto si può ritenere soddisfatto e donare la sua opera al patrimonio balneare affidandone la custodia ai bambini della spiaggia che lo demoliranno immediatamente.

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