A PASSO D’OCA

La presente è per denunciare un gravissimo episodio accaduto, nell’indifferenza assoluta, qualche giorno fa nella cittadina di Minori, in costa d’Amalfi.

Sono un’oca e scrivo da una «località di villeggiatura», dove sono stata recentemente «accompagnata» insieme ad alcune decine di mie colleghe che hanno subito la medesima sorte.

Prima del confino, noi, oche di Minori, occupavamo pacificamente la spiaggia ad ovest del litorale della cittadina. Da anni, la nostra esistenza si limitava a poche pratiche consumate nella più assoluta noncuranza: il campeggio, il passeggio e la tintarella sull’arenile, il placido ammollo in mare e il chiacchiericcio, fervore al quale dedicavamo grande passione.

In inverno risalivamo il fiume per cercare riparo presso le anse del corso d’acqua, brucando avanzi di cibo depositati nell’alveo. Partecipavamo alla vita del paese, osservandone i passaggi essenziali, senza mai interferirvi.

Non rari erano i casi in cui, turisti o bird-fancier, ci chiedevano di posare per i loro scatti. In questo modo le oche di Minori sono finite su bacheche virtuali prestigiose, raccogliendo consensi di milioni di followers. Per anni siamo stati un’attrattiva bucolica e inoffensiva, passatempo per decine di bimbi che ci osservavano divertiti.  

Per le nostre caratteristiche siamo state inserite anche in una categoria ornitologica autonoma, conquistando appunto il titolo di «Oca di Minori».

Qualche giorno fa, io e le mie colleghe, eravamo impegnate nei consueti, salutari, quattro passi serali.

Tutto filava liscio finché nottetempo, con il favore delle tenebre, come nelle migliori tradizioni totalitariste, siamo state prima accerchiate, quindi catturate per essere ammassate in volgari cassette da frutta.

In tali contenitori siamo state costrette a viaggiare per ore, ammassate ed occultate in portabagagli bui di non meglio identificati mezzi motorizzati. Solo le più forti di noi, o le più fortunate, sono sfuggite al ratto, dandosi alla fuga, nel perdurante timore, di essere inseguite e imprigionate.

La deportazione si è conclusa in un luogo sconosciuto, presso una sorta di stagno, dal clima ostile e umido, inadatto alle nostre caratteristiche. Laddove ora stiamo, depresse, nella speranza di poter rivedere un giorno il mare.

Nel frattempo, osteggiate dalle nostre simili, emarginate nell’accoppiamento, rischiamo l’estinzione.

Comprendo che occupavamo quella spiaggia senza regolare autorizzazione, ma è pur vero che la nostra attività anfibia non prevedeva scopi di lucro. Eravamo, infatti, occupanti spontanei, senza attrezzature stabili, al pari dei bagnanti occasionali.

Escludo pure rappresentassimo un difetto di decoro, noi col nostro sguazzo elegante, con tutto ciò che si vede in spiaggia!.

Se potevamo essere regolarizzate, perché non ci è stato suggerito il “canale giusto” per farlo?.

Di quale peccato ci macchiammo? A chi procuravamo disturbo ?.

Sarà forse la nostra ex-spiaggia nuovo territorio di conquista?. Ho il timore si oda già il tintinnio di lettini e ombrelloni, lentamente avanzare.

Oche non stupide, siamo.

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