SEPARARSI DA UN ARCHITETTO

La pandemia ha messo alla prova la convivenza di tutte le coppie, costrette, inaspettatamente, a trascorrere insieme molto più tempo del previsto e minando pericolosamente la reciproca tolleranza.

Il segreto della tenacia di molte coppie è infatti custodito nella mutua assenza.

Così, ora si presume che in tanti abbiano deciso di separarsi.

In realtà l’architetto, nella sua unica veste di architetto, sarebbe inoffensivo. Concentrato in questioni estetiche di nessun conto, interessato alle arti e ai viaggi, fiducioso e sognatore, accetterebbe la divisione come l’approssimarsi della primavera: un evento tanto spontaneo quanto incontrollabile.

Tuttavia la separazione da un architetto comporta dei rischi. Occorre molta attenzione.

Chi si separa da un architetto dovrà cercare di farlo in un clima di assoluta serenità e con il massimo dell’accordo possibile.

Da un’analisi frettolosa del caso, infatti, il separante valuterà, innanzitutto e con maggiore entusiasmo, i lati positivi della divisione, sottovalutando le minacce.

Non che i lati positivi siano trascurabili. Un architetto che abbandona un tetto (coniugale o meno che sia) è obbligato a portarsi con sé almeno quei 4 metri cubi di riviste che conserva, con il suo carico addizionale di acari, liberando angoli di casa da tempo compromessi. Unitamente alle riviste, il separante si potrà disfare di una serie di oggetti, definiti “di design”, assolutamente inutili, costati ognuno quanto una parure di Bulgari. Inoltre si spegnerà anche quella fastidiosa luminescenza che brilla nottetempo nello studiolo, compagna sgradita di mille notti insonni. Scompariranno anche quelle imbarazzanti cene di lavoro con altri architetti che discorrono sempre di “crisi del linguaggio moderno” o di guaine impermeabilizzanti per coperture piane. Per non parlare di quelle allucinanti presentazioni di libri monografici, narcotizzanti quanto una endovena di acetilene. Non aleggerà più il pericolo che la guardia di finanza venga a bussare il citofono alle 5 del mattino. I weekend torneranno giorni liberi.

Fin qui le gioie.

I pericoli reali arriveranno, invece, dalle anime coesistenti con quella dell’architetto.

E’ noto infatti che l’architetto sia una persona curiosa, tuttologo, capace di apprendere con facilità e mischiare con produttività le competenze, fino a produrre la più efficace delle sintesi.

Al di là delle infinite sfaccettature, siccome il primo aspetto da controllare con attenzione in caso di separazione è quello abitativo, il separante dovrà stimare le influenze che provengono all’architetto dal mondo dei geometri. In particolare le sue conoscenze catastali potrebbero essere sfruttate per manovre diaboliche, tipo frazionamenti illegittimi o cambi di destinazione sleali, operazioni ovviamente pilotate, effettuate in accordo con impiegati dell’Agenzia del territorio, puntualmente corrotti.

Ma pure in presenza di condizioni catastali limpide, l’architetto potrebbe nascondere inconfessabili segreti urbanistici riguardanti il patrimonio immobiliare in comune o anche di esclusiva proprietà del separante: condoni edilizi sospesi, concessioni scadute con prescrizioni mai assecondate scritte a piè pagina in note microscopiche, servitù “in sonno” e altro ancora.

Ma ci potrebbero essere effetti ancora più gravi se l’architetto si fosse negli anni specializzato in questioni economiche. A tal proposito va monitorata la sua propensione alla lettura del “Sole 24 Ore” o la frequentazione con impiegati di banca, trader di borsa, società finanziarie di prestiti, o usurai. Il separante potrebbe a sua insaputa trovarsi intestati mutui trentennali, capitali investiti in titoli di stato argentini o centinaia di rate per una villetta in multiproprietà alle Barbados ancora in costruzione.

Non meno temibile è l’attitudine dell’architetto a impratichirsi quale novello informatico. Indotto dalla digitalizzazione del suo lavoro, potrebbe essere capace di hackerare smartphone, trasferire dati sensibili col bluetooth, rintracciare o far sparire informazioni compromettenti con formattazioni improvvise o, se necessario, con la distruzione fisica delle unità di memoria tramite mazzolatura (in questo caso è valida la conoscenza delle modalità di demolizione delle tramezzature) o grazie all’uso di materiale esplosivo (utile l’assistenza alle operazioni di scavo per la realizzazione delle fondazioni in terreni compatti). Il tutto senza neppure richiedere l’assistenza di Salvatore Aranzulla.

Un’altra minaccia è rappresentata dal quadro emotivo. Qui all’architetto possono tornare utili le letture. O più modestamente la visione di programmi televisivi (in onda preferibilmente su Rete4 o talvolta sul Nove) dove intellettuali definiti “sociologi” o peggio ancora “psichiatri” o, se non basta, “criminologi” (anche simultaneamente) effettuano meticolosi lavaggi del cervello, praticando la liberazione dal proprio senso di colpa e la trasmissione dello stesso, moltiplicato per dieci, verso terzi. Questo tramite tecniche di convincimento che l’architetto studia con attenzione perché ritiene gli possano tornare utili durante un’inquisitoria di un committente.

Ma per il separante, la conoscenza più allarmante dell’architetto, anch’essa sviluppata in anni di pratica professionale, è certamente quella giuridica. L’architetto, divenuto negli anni un burocrate esperto, in caso di accordo scritto saprà introdurre formule sufficientemente ambigue che gli consentiranno di avere la meglio in qualsiasi controversia; coronando così il sogno di una vita: utilizzare almeno per una volta, finalmente a suo vantaggio, il principio del silenzio-assenso.

Per contrastare tale potenziale moltitudine di conoscenze, al separante non resta che cercare la collaborazione di un team di esperti che possono essere rinvenuti presso il nucleo familiare, dalla cerchia di amici, tra gli amici degli amici o, in ultima istanza, rintracciati su Bakeka o Subito.it.

E’ comprensibile che tale tecnica difensiva costa al separante tempo, fatica e spesso anche molto denaro, tanto da sconsigliargli, se possibile, il distacco e provare una riappacificazione, magari trattando nuove condizioni (ad esempio dando fuoco alle riviste) e organizzando eventuali futuri lockdown in luoghi separati.

Vi è, infine, un’ipotesi in cui tutte le armi a disposizione dell’architetto risultano pressoché innocue: è il caso in cui provi a separarsi da un altro architetto.

In tale circostanza qualsiasi competenza è naturalmente sterilizzata e il conflitto si configura come un’infinita lotta contro i mulini a vento. Durante la quale ciascun separante si convince che “dovevo pensarci prima”.

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