LA CITTA’ DELLE VACANZE

La città delle vacanze, è raro che sia una città, più spesso è un paese, un quartiere o una sola casa lungo la via del mare. 

Raggiungerla è l’obiettivo, principalmente estivo, del viaggiatore che, sfinito dai turni di lavoro, dal caldo, dagli scocciatori, dai parenti e dai loro guai, dallo smog, dalle bollette in scadenza e dalle pessime abitudini, confida di ritrovare là, proprio là, attimi di inestimabile felicità.

Tant’è vero che già in prossimità della partenza, non gli par vero di poter mollare tutto e raggiungerla, anche se durerà una settimana soltanto. E i preparativi iniziano con tale anticipo che non è escluso che durino più della vacanza stessa.

Il viaggiatore, infatti, non trascura nessun dettaglio: l’assetto scientifico della valigia, le telefonate da fare e gli incartamenti da chiudere prima della partenza. Grane e nodi da sciogliere, l’ultimo tizio da incontrare o da non incontrare.

Finché il giorno della partenza, la città delle vacanze si staglia nella fantasia del viaggiatore come la meta ideale, il paradiso terrestre, il posto ove ogni disturbo della quiete interiore ed esteriore si placa. Per questo motivo, anche la fatica del viaggio, inevitabilmente complesso per la coincidenza con le trasferte di tutti gli altri viaggiatori (ugualmente diretti verso la loro città dalle vacanza) pare ammorbidirsi, sciogliersi in una melassa di paziente tolleranza (prego, grazie, si figuri, faccia pure…) nei confronti non solo degli altri ma anche dei mezzi di trasporto affollati o scomodi, in ritardo, quando non addirittura verso i voli cancellati, i treni soppressi e le coincidenze mancate. Navi in balia delle onde o ferme al porto per improvvise mareggiate, vengono accolte con deboli alzate di spalle.

Tutto rapidamente rimosso allorquando agli occhi del viaggiatore compare, sul fondo del declivio, la città delle vacanze.

Pure se la ricerca disperata di un posto auto, primo atto propedeutico per ogni successivo respiro, tra conducenti stanchi e maleducati e nuovi sensi unici, isole pedonali e tavolini di ristoranti outdoor, si conclude in una piazzola polverosa e altimetricamente lontanissima dall’abitazione, il viaggiatore non perde l’abbrivio per cimentarsi nel tradizionale commovente entusiasmo dell’esordio: narici spalancate in cerca di profumi desiderati (che surclassano il puzzo delle stanze chiuse), tale e quale alle finestre che incorniciano panorami fantasticati, coste spazzate dal vento, o semplicemente strade statali perennemente intasate. Così, in questo stato di catalessi insipiente, il viaggiatore smantella l’incastro perfetto della sua valigia.

Sistema gli armadi, controlla ogni interruttore, battezza il bagno come in un rito liberatorio e purificante.

Svelto fa tappa al supermercato, e in un rilancio di nostalgia sceglie di costeggiare il bar degli amici, locali, estivi, che ritrova tutti schierati pronti a tempestarlo di interrogativi. Fermo alla dogana dell’invadenza fronteggia ogni richiesta di quelli che vorrebbero la lastra radiografica aggiornata degli ultimi 11 mesi e mezzo di vita del viaggiatore. Ma che ricevono solo risposte vaghe, accompagnate da sorrisi di circostanza e pacche sulle spalle. Come l’anno prima.

Al supermercato della città delle vacanze, il viaggiatore si accorge ben presto che quell’aumento dei prezzi di cui molto si diceva, esiste. Passeggia tra le corsie, allungando e ritraendo la mano. Cerca occasioni che non ci sono, scruta attorno se vi siano sguardi perplessi, come il suo, tra i clienti.

Alla fine prende ciò che gli occorre: cibo precotto, latte, biscotti e dolcetti tipici. Sceglie anche una bottiglia di vino dozzinale che paga ben 12 euro, “chissenefrega, sono in vacanza” pensa anche se spende molto più del previsto.

Avrebbe persino voglia di dirlo alla cassiera, che però non è più quella dell’anno precedente. E’ un’altra più giovane, che non conosce e che lo tratta con incuranza.

Al ritorno il viaggiatore allunga la strada, evita di ripassare al bar. Sceglie i vicoli, che trova però più luridi, punteggiati di cacche, tra qualche sacchetto dei rifiuti maldestramente abbandonato. Dribbla auto in divieto di sosta, nota che alcuni alberi sono stati decapitati. La piccola fontana dove soleva fermarsi a rinfrescarsi, è scomparsa. In compenso sono comparsi paletti, catene, recinti. Strisce gialle e blu. Dissuasori della sosta. Piccoli mutamenti dell’arredo urbano, forse impercettibili ai passeggeri abituali, ma che egli nota immediatamente, sentendosi accolto con meno cortesia.

Nel frattempo al viaggiatore pare faccia molto più caldo. Che quella brezza così piacevole sia sparita. “E’ il mutamento climatico” ragiona tra sé e sé. Così decide di trascorrere la prima sera in balcone. Ne ha due.

Da quello grande si vede il mare, ma anche la via provinciale, presa d’assalto da truppe di motociclisti imbestialiti. Mirando carreggiata libera, accelerano sul rettilineo, scalano due, tre marce all’imbocco della curva, quindi sgasano per riprendere i giri del motore sulla salita. Allora c’è da sperare che aumenti il numero di vetture, che la strada si affolli, ma è ancora peggio: auto in sosta selvaggia intralciano la circolazione, sollecitando il suono dei clacson degli impazienti; sopraggiungendo i centauri stringono la frizione e nel contempo girano la manetta del gas, sollevando sbuffi di cherosene e maledizioni.

D’altronde, forse, anche i viaggiatori motorizzati sono in movimento verso la loro città delle vacanze.

Così il viaggiatore sceglie il balcone defilato, sul lato interno dello slargo. Prepara crostini e vino, si organizza col tavolino e la sdraio, ignorando l’arrivo della movida. Nella città delle vacanze spuntano come funghi baretti e dj-set, chi può negargli il permesso? Anche i ragazzi han diritto alle loro distrazioni.

Hanno aperto un bar nuovo” pensa il viaggiatore. “Proprio qui sotto”.

Al tramonto si alza il volume e i bassi degli altoparlanti fanno tintinnare il bicchiere. E’ una musica (“ma forse non è neppure musica” pensa il viaggiatore) che non concede pause. Un milione di semiminime gemelle e ipnotiche tra teste dondolanti e tappi di prosecco che vanno su. Anche rientrato in casa, e sbarrate le imposte, il martellare non lo abbandona, fino a notte fonda.

Non è così silenziosa come una volta”, riflette il viaggiatore.

Soffocato dal caldo notturno, e dunque costretto a ricorrere al mai abbastanza benedetto vecchio ventilatore, il viaggiatore di buon’ora è già sveglio, disarciona il letto e si fionda verso il mare.

Il mare finalmente” pensa e non invidia quel suo amico confinato nella città delle vacanze di montagna, minacciato dal pericolo valanghe e dall’altro che per le vacanze usa la sua casa isolata e, per questo, certamente morirà di noia e dimenticanza.

Viceversa in due minuti il viaggiatore è già sul lungomare, qui si imbatte in nuove barriere: transenne, corde di juta tese, cartelli, cancelli bassi. Lavagne che promettono cibo esclusivo, massaggi rilassanti, lettini e ombrelloni da noleggio, gite in barca, in gozzo, in gommone.

Si divincola fino a ritrovare il varco per la sua spiaggia libera, stretta tra fitte filiere di sdraio incollate una all’altra. Sulla riva una folla di bambini e mamme alla loro rincorsa. Così è costretto a tuffarsi e nuotare verso il largo finché si imbatte in una schiuma bianchissima  e densa che lo rispinge a riva, dove il nugolo di fanciulli oramai si fa la guerra con la sabbia e gli schizzi. Il viaggiatore risale così l’arenile fino ad arrivare ad un’oasi tanto silente quanto incandescente e ostile.

Belli i bambini, però…” pensa il viaggiatore mentre si immerge nel suo Bartezzaghi che, causa inattività, trova tremendamente complesso, impantanandosi nelle definizioni lunghe. Quando il frastuono della spiaggia sale fino alla sua isola, il viaggiatore decide che come primo giorno di mare può bastare. Cercherà un posto migliore, forse, da domani. Ritornando a casa si immerge nel dedalo delle viuzze cittadine. Si imbatte nel fruttivendolo che dal furgone urla il prezzo delle angurie mentre l’uomo che raccoglie i cartoni gli fa eco dalla stradina opposta. Una donna da una loggetta inaugura lo stillicidio del bucato, ragazzacci in monopattino elettrico violano sprezzanti l’area pedonale. Il furgone della frutta ora si è spostato ed un’anziana da una finestra sta chiedendo il prezzo delle percoche. E’ un telefono senza fili di arcaica tradizione

Il viaggiatore ripiega quindi sull’edicola dove però non trova più nemmeno una copia residua del suo quotidiano.

Ne portano poche” gli risponde dispiaciuto l’edicolante.

Senza niente da leggere e molto tempo a disposizione, il viaggiatore si smarrisce nell’urbanistica spontanea di ogni città delle vacanze: stratificazioni di epoche differenti, sventramenti e ricostruzioni. Sorpassa ruderi di mura medioevali e torri d’avvistamento, aggregazioni radiocentriche di palazzine o di case basse che si incuneano nella valle.

Tra piazzette che sembrano cortili e scale che si arrampicano lungo brevi terrapieni, spuntano improvvisi condomìni tardo novecenteschi con citofoni adespoti. Le serrande abbassate di locali in cerca di affittuari, i bassi trasformati in case e i garage in vendita a prezzi da suite, frantumano il fascino del presepe moderno, e principiano alla nostalgia.    

Così nella mente del viaggiatore inizia a serpeggiare il dubbio che la città delle vacanze sia meno accogliente di come se la ricordasse. E soprattutto che lui sia un intruso. Potrebbe provare ad ambientarsi, ma una settimana certamente non sarebbe sufficiente (e forse nemmeno due).

E comunque quando sentirebbe di avercela fatta, dovrebbe ripartire e quindi si tratterebbe di una fatica inutile. Intanto sente il fastidio di questo disagio come se lo portasse addosso, tipo una cravatta troppo stretta. E’ lui che è sbagliato o è sbagliata la città? Si chiede.

La risposta potrebbe essere che non esiste nessuna città delle vacanze e nemmeno un paese o un quartiere, e che proprio l’idea della vacanza sia troppo astratta. Uno stato d’animo per il quale la maggior parte delle persone (e lui è una di quelle) non hanno il talento adeguato oppure non sono sufficientemente allenate.

Nessuno luogo, stabilisce, è in grado di accogliere desideri così esclusivi.

Così il viaggiatore, ospite appena tollerato, battezza Assurdìa la sua città delle vacanze già ex paradiso terrestre. Resiste il massimo che riesce, quindi si auto espelle come un peccatore qualsiasi con due giorni di anticipo e torna in città.

Rientra di notte, in incognito. Non avverte nessuno.

Disfa la valigia e sorseggiando vino da supermercato trascorre la prima sera sul balcone di casa, fissando i semafori all’incrocio.

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