LA CITTA’ DELL’ATTESA

Cento volte il viaggiatore è tornato a Spetta, la città dell’attesa, e cento volte, interrogando i locali, si è sentito dire le medesime cose: “Le cose cambieranno”, “verranno tempi migliori”, “il tempo alla fine aggiusta tutto”.

E ha visto identiche cose, lentamente invecchiate, come d’altronde le persone: le vernici scrostate sulle ringhiere dei palazzi, le tegole scheggiate dei tetti e gli alberi, più alti e rigogliosi o più rinsecchiti.

Ha visto le stagioni susseguirsi meccaniche, come spinte dal vento, e attrezzature, cartelli stradali, tende parasole, ma anche chiese, fontane e strade, logorarsi e infine arrendersi alla ruggine o all’oblio. Quel tempo che sembra fermo, a Spetta scorre invano.

Il viaggiatore si giudica fortunato: in pochi conoscono Spetta.

Non è segnata sulle mappe e non si ricevono inviti, perché gli abitanti, detti Spettatori, persuasi che l’occasione giusta per viaggiare sia ancora da venire, mai ne fuoriescono.

“Non è il momento giusto”. “C’è la guerra”, “c’è la pandemia”, “fa troppo caldo”, “i prezzi sono troppo alti”. Così ripetono.

Così a Spetta tutti aspettano. Ogni azione, anche la più banale, rimane sospesa tra “domani” e “la settimana prossima”. O, in alternativa e la maggior parte delle volte, che qualcun altro la faccia per primo.

Tuttavia a Spetta non esiste nessun “qualcun altro”. E’ solo un desiderio romantico. L’”altro”, a Spetta, storicamente aspetta più dell’”uno”. Che a sua volta sa attendere con più pazienza di un suo ipotetico precursore.

Questo eterno temporeggiare, sgomenta il viaggiatore.

Arrivando in aprile, vede uomini in sandali e donne incappottate.

Spettatori che, stabilito un abbigliamento e goduto il periodo con la temperatura più adeguata,  aspettano che questa ritorni l’anno successivo.

Ad una fermata del bus soppressa da anni, ogni pomeriggio, un gruppuscolo di habitué si riunisce per attendere la corriera mentre altri, qualche centinaio di metri più a valle si radunano periodicamente in un prato nell’attesa che venga costruita una stazione ferroviaria.

Così, stando immobili, indecisi sul modello d’auto da comprare, e sul tipo di carburante da preferire, attendono che qualcuno inventi un sistema di spostamento innocuo e definitivo.

Ma non è solo per abbigliamento e trasporti. L’attesa imprigiona ogni decisione, privata: comprare o ristrutturare casa, aprire un’attività commerciale o un conto corrente; e pubblica: riparare l’acquedotto, risanare la fogna comunale, ripulire l’alveo del fiume.

Ci riflette il Sindaco rintanato in ufficio in attesa gli arrivi il vestito nuovo su misura con fascia tricolore, dal sarto che a sua volta aspetta nuove elezioni (o che il Sindaco dimagrisca) per riciclarne uno che tiene in guardaroba, di due taglie più stretto.  

Ma a Spetta non ci sarà mai nessun nuovo Sindaco: tutti aspettano che altri si candidino, così le liste elettorali restano vuote.

Anzi, molti si domandano com’è possibile che ce ne sia uno.

Problemi più gravi riguardano i rapporti sociali: a Spetta nessun litigio termina in accordo. Ognuno aspetta che sia l’altro a scusarsi. Faide secolari circolano serpentine, tra pronipoti straniti.

E i giovani, residui, attendono oltre misura nel prendere decisioni fondamentali; ad esempio emigrare o fare un figlio. Anzi, prima ancora, aspettano per sposarsi. Anzi, prima ancora, per dichiarare il proprio amore. Per questo motivo Spetta è piena di amori platonici e di matrimoni e figli nati involontariamente.

Le mogli, invece, aspettano che i mariti le facciano una sorpresa, i mariti che le mogli gli dicano che li amano ancora per fare un’improvvisata. E viceversa. Gli amanti, di entrambi, aspettano che quelli si separino, per ufficializzare, ma quelli, a loro volta aspettano che gli amanti, prima o poi, cedano per impazienza.

I vecchi aspettano il 27 del mese per ritirare la pensione, quel giorno i nipoti aspettano a casa che tornino i nonni.

Ed ognuna di queste attese pare sacra. Rito singolo e per somma collettivo: un’interminabile liturgia, senza un vero officiante.

Religione prevalente perché il prete per dir messa aspetta che la chiesa sia piena; i fedeli fermi sul sagrato aspettano che arrivino altri fedeli a riempire l’aula. Altri fedeli aspettano più distanti che quelli entrino per seguirli. Alla fine le messe di Spetta sono sempre deserte, tranne il giorno della festa patronale, attesissima.

Al sospetto che siano in tanti ad attendere solo il trapasso, si sostituisce il pensiero che persino la morte, a Spetta, sembri aspettare un po’ troppo nel richiamare a sé persone già da tempo morte.

Ma è la città stessa che dovrebbe logicamente morire. Plausibilmente, pensa il viaggiatore, è «in attesa di». Ed è questo il vero mistero di Spetta: la sua inverosimile resistenza.

Facendosi largo tra aiuole in foresta, insegne al neon esausti e buche stradali da rattoppare, un ultimo particolare incuriosisce il viaggiatore: gli orologi indicare ancora l’ora legale in regime solare.

Ad un anziano che sotto il platano in piazzetta aspetta, chissà da quanto e da «quinto», il suo turno a tressette, domanda spiegazioni.

“Basta attendere qualche mese e torneranno a segnare l’ora esatta” gli risponde serafico.

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