IL BERSAGLIO

Siccome il paese non è già abbastanza rumoroso di suo, anche quest’anno e, naturalmente proprio sotto il balcone di casa mia (dove sennò?) è tornata la giostra del tirassegno.

Si tratta di una singolare opportunità offerta ai tiratori apprendisti o già affermati, che, per circa due settimane a cavallo del Ferragosto, possono provare (ed eventualmente affinare) le proprie abilità balistiche grazie ad un’attrazione che si credeva estinta o perlomeno confinata solo in alcune sagre dell’entroterra, dedite alla promozione di prodotti locali: derivati suini, ortaggi, dolci o liquori tradizionali.

Così stranisce che il furgone del tirassegno, trovi collocazione e prolungata ospitalità sul lungomare di un centro della costa “divina”, tra eccellenze del gusto, ipotetico lusso e scorci panoramici.

L’asilo concesso è probabilmente conseguenza del successo che il poligono di tiro riscuote, certamente superiore a quello della bancarella, che sosta qualche metro più in là, dedicata ai libri; a testimoniare che i proiettili attraggono più della letteratura, nonostante quest’ultima sia senza dubbio più utile.

A cimentarsi negli spari un raffinato popolo di novelli Tex, quasi esclusivamente maschi, alcuni accompagnati dai figlioletti ai quali, auspicando un degno passaggio di consegne, sono fieri di dimostrare la propria destrezza. Stimolo che incoraggia i fanciulli a cimentarsi, riponendo nella fondina lo  smartphone d’ordinanza e staccandone lo sguardo il tempo necessario per svuotare un caricatore tra i barattoli.

Ma nel lungo orario di apertura della giostra, dalle 18 fin ben oltre la mezzanotte, di tanto in tanto fanno la loro comparsa sul proscenio anche sparatori semi professionali, ex o paramilitari, immediatamente riconoscibili dalla sicumera con la quale impugnano l’arma ed abbattono rapidamente e con odiosa facilità la fila di lattine tra lo stupore dei presenti.

A loro va il peluche a grandezza naturale, con il quale solitamente omaggiano la fidanzata (o moglie) che, incantata, ne ha seguito le gesta.

Tali imprese stimolano il desiderio di emulazione da parte di improbabili pistoleri più avvezzi all’uso delle posate o del telecomando; «soldati da divano» che al primo colpo, sorpresi dal rinculo, sbandano pericolosamente. E che dinanzi agli insuccessi, lamentano sfavorevoli condizioni meteo o attrezzature non all’altezza.

I più tenaci sono capaci di investire somme considerevoli pur di raggiungere l’obiettivo del premio minimo, che solitamente coincide con un peluche a grandezza portachiavi.

Baffuti, tatuati, in canottiera, ma anche insospettabili di mezz’età in ciabatte e marsupio che prima di scendere nella fossa studiano il campo di gara con certosina curiosità. Tra un nugolo, sempre compatto, di spettatori che osservano e commentano, con ampi gesti delle mani e smorfie di viso, incitano, affidano al vento consigli mai richiesti. «Umarell» di trincea, attratti dal suono delle pallottole come api dal miele, sostano per ore, mani conserte o dietro la schiena, anche approfittando delle panchine adiacenti, in attesa di provare il brivido dell’impresa bellica.

“Bang… bang, bang, bang… bang… bang…”.

Sei ore al giorno, pressoché senza soluzione di continuità, di rivoltellate.

La colonna sonora rumorosa, in concerto con le altre, dell’estate.

Dalla mia tribuna, indubbiamente privilegiata, mi chiedo se non è proprio in questa ostinazione indecifrabile che risiede il vero mistero del successo del tirassegno, questa ambizione italica, postmoderna ma sempre attuale, di saper maneggiare un’arma, perché potrebbe essere utile, prima o poi, sapersi fare giustizia da soli. O che sia la fascinazione dell’esplosione, la mira, l’atterramento, il fascino dell’eroe infallibile, la comparsa del «Rambo dei poveri» a stimolare la fantasia e ad accrescere la popolarità del tirasseg no.

Mi faccio queste domande, mentre per lampada la luna, abbandono l’idea di concentrarmi su una lettura, alienato dal metronomo degli spari.

Provo un senso di inadeguatezza (“out of context” direbbero gli anglosassoni) una sgradevole sensazione che attribuisco e riparto equamente tra il mio ripudio delle armi e la riforma per “motivi di salute” alla leva militare. Finché la sciolgo nel brodo d’amarezza per questa incomprensibile tendenza a proporre continuamente modelli sbagliati, culturalmente abiurabili, oltre che improponibili per contesto.

Sparando a casaccio nel poligono delle opportunità, senza centrare mai un bersaglio.

Finché stasera, sporgendomi dal balcone, scopro che il tirassegno non c’è più.

Sostituito dalle bancarelle gastronomiche.

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