MA ERAVAMO DAVVERO FELICI?

E’ martedì 3 luglio del 1990, sono da poco passate le 22.30 di una tiepida sera d’estate.

Sul terreno di gioco dello stadio San Paolo di Napoli, Diego Armando Maradona sta per calciare il quarto rigore della serie per l’Argentina.

“(…) prende la rincorsa. Cinque passi, partendo leggermente da dentro l’area.

Calcia alla destra del portiere, come aveva fatto contro la Jugoslavia. Aveva sbagliato, ma ha deciso di non cambiare angolo. Il tiro è rasoterra, tanto lento quanto imparabile, con Etrusco (il pallone ufficiale del mondiale “Italia ‘90” NDA) che entra in porta senza che l’erba se ne accorga”.

Sta per consumarsi uno dei più orribili drammi nazionali che la storia italica recente ricordi.

Siamo soliti celebrare le vittorie, ma in realtà siamo portati a memorizzare più chiaramente le disfatte. E tra le tragedie, quelle calcistiche, specie se collettive, rimangono indelebili.

Corrado De Rosa, salernitano, psichiatra, ha pubblicato libri dove si è occupato di terrorismo, omicidi, fedeltà criminale ma se la cava altrettanto bene alle prese con la religione del calcio, che d’altronde contiene tutti gli elementi comuni alla follia umana. Così la sua ricostruzione della “partita da cui tutto finisce”, ovvero il libro “Quando eravamo felici” (Minimum fax, 2023) si occupa di raccontare un periodo della nostra storia attraverso i cambiamenti e le aspettative che maturavano all’alba degli anni novanta. Il pretesto è la maledetta semifinale del campionato del mondo di calcio giocato in Italia, persa dalla nostra nazionale contro l’Argentina, dopo la lotteria dei rigori, 4 a 3.

Ma siccome una partita di calcio non è mai un episodio slegato dalla realtà, gli attori di quella recita, incrociano le loro storie con quelle della società che li circonda: l’Europa finalmente affrancata dal muro di Berlino, con l’Unione Sovietica in disgregazione e sull’orlo della guerra per la frammentazione della Jugoslavia. Nel mondo le inquietudini del Golfo Persico, del Libano, del Sudafrica. E l’Italia degli Yuppies, del debito pubblico, del PIL +2,5% annuo, della «Milano da bere» e della disoccupazione in doppia cifra, che sperpera miliardi e semina morti da incidenti sul lavoro, per infrastrutture che resteranno incompiute. L’Italia di Craxi, Cossiga, Andreotti e del rampante Berlusconi.

Che si prepara, inconsapevole, al terremoto giudiziario di Tangentopoli.

Anche il calcio è di un’altra generazione: il portiere può raccogliere con le mani il retropassaggio, sono consentite solo due sostituzioni, la moviola in campo è solo un miraggio per visionari.

L’Italia che raggiunge la semifinale gode di tutti i favori del pronostico. Ha vinto finora tutte le 5 partite giocate, segnando 7 goal senza incassarne nemmeno uno. Schillaci è diventato l’eroe nazionale, ha già segnato 4 goal ed insegue il titolo di capocannoniere, l’enfant prodige Baggio ha segnato alla Cecoslovacchia la più bella rete del mondiale. L’Argentina, campione in carica, viceversa ha iniziato il mondiale perdendo col Camerun, ha salvato la pelle con l’URSS grazie ad un avanbraccio malandrino di Maradona. Si è rifatta con la Romania, l’ha sfangata con il Brasile dopo 81 minuti di sofferenza, tre provvidenziali pali e un goal in contropiede. Infine ha eliminato la Jugoslavia ai rigori grazie ai miracoli del suo portiere di riserva, Sergio Goycochea.

Chiaro: nella nostra mente l’Italia è già in finale.

Ma il romanzo del calcio ha trame imprevedibili.

Corrado De Rosa ne raccoglie le migliori sollecitazioni attraverso i suoi interpreti.

Nando De Napoli ad esempio, il gregario, dalla campagna avellinese, detto “Rambo”, amico di Maradona che per respirare si cosparge il petto di Vicks. Gianluca Vialli, il prediletto di Vicini. Che “fa gol con la potenza di Gigi Riva, la classe di Roberto Pruzzo, l’opportunismo di Paolo Rossi e le acrobazie di un ragazzino che gioca in spiaggia”.

Schillaci, Zenga, Baresi, Vierchowod.

E naturalmente Diego Armando Maradona. Fischiatissimo in ogni stadio, che dopo la partita persa col Camerun ha detto ai giornalisti: “l’unico piacere di questo pomeriggio è stato scoprire che, grazie a me, gli italiani di Milano hanno smesso di essere razzisti”. Che due giorni prima della semifinale indossa i panni del Masaniello e dichiara “Mi disgusta che ora tutti chiedano ai napoletani di essere italiani e di tifare contro la Seleccion. Napoli è stata sempre emarginata dal resto d’Italia,l’hanno condannata al razzismo più ingiusto”. Un capopopolo in grado di dividere una nazione intera e gli stessi tifosi partenopei che non fischieranno l’inno, al contrario di coloro che, assistendo alla finale giocata a Roma 5 giorni dopo, lo sommergeranno inducendolo ad esclamare, tra i denti, il più famoso “Hijo de puta” della storia del calcio.

Tra queste storie, tante altre satelliti, che De Rosa coglie con arguzia. Insuperabile quella del colonnello Lobanovski, chiamato a salvare la nazionale russa dopo il disastro di Chernobyl, dal miracolo della Dinamo Kiev a vicecampione europeo due anni prima, sostenitore del calcio coniugato alla scienza che “ha da tempo chiarito il suo metodo di lavoro ai calciatori: «Voi non pensate, penso io al posto vostro»”.

Ognuna con le sue lucide follie, analizzate con la perizia dell’investigatore. Illuminanti le pagine su Maradona, sulle mattate dei portieri, sullo squilibrio mentale dei tifosi.

Un quadro dove tutto «si tiene» grazie ad un’inerzia misteriosa, pronto ad esplodere. Il necessario e il superfluo, il reale e il surreale. Il contenuto e l’apparenza. Tutto è in procinto di dissolversi, persino l’iconica mascotte “Ciao” che in copertina si scompone in pezzi.

Si dice che il passato sia sempre migliore del presente, per il semplice motivo che eravamo più giovani (l’estate dei miei 15 anni – e anche dell’autore, siamo coetanei – come potrei dimenticarla?). Forse questo persuade che “Italia ’90” sia il luogo finale della nostra felicità. Se non siete d’accordo potete sempre lasciarvi convincere da Corrado De Rosa che ha scritto un libro con una bibliografia da laureando, mutuando senza dubbio l’idea da un altro libro, splendido, “La partita – Il romanzo di Italia-Brasile” di Piero Trellini (ne ho scritto QUI), dipingendo il quadro di una società lontana più di trent’anni ma mai rimossa dai nostri pensieri più romantici.

Una fotografia dritta e «a fuoco» di un attimo che non passa mai.

Quel momento preciso trascorso il quale, abbiamo smesso di essere felici.

E’ il 3 luglio del 1990, sono da poco trascorse le 22.30 e Aldo Serena è in procinto di calciare il quinto e ultimo rigore della serie per l’Italia.

Corrado De Rosa sarà a Salerno festival Letteratura sabato 24 giugno alle ore 21 a Largo Barbuti con “Quando eravamo felici. Italia -Argentina 1990: la partita da cui tutto finisce”.

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