LA STRATEGIA DELL’ASFALTO

E’ il nuovo protagonista delle città contemporanee, è solido e onnipresente, fa bene il suo lavoro senza omissioni, inoltre è ordinato d’aspetto e piace praticamente a tutti.

E’ l’asfalto.

Nome originale del conglomerato bituminoso, di antichissime e nobili origini, prende il nome dal termine “aspales”, che viene dal greco e che vuol dire “sicuro, affidabile, duraturo”.

L’asfalto è un “evergreen”, inossidabile, ci accompagna da 3000 anni, è con noi, intorno a noi, sotto di noi. A volte anche sopra di noi. Nessuna crepa, vera o presunta, è al sicuro quando c’è un bidone di asfalto pronto a farla scomparire. Ma l’asfalto non serve soltanto per le buche, i pavimenti scheggiati o il tombino fuori posto, l’asfalto è una meravigliosa arma di distrazione del dissenso di massa, ammesso che esista ancora il dissenso di massa e soprattutto esista ancora il dissenso.

Quella meglio nota come “strategia dell’asfalto”, più efficace della “tecnica della sostituzione del cubetto di porfido” o del “vaso da fiori occasionale”, è un collaudato metodo che, sorprendentemente e puntualmente agisce. 

Apposite centraline misurano il malcontento generale, quando il livello della delusione cresce, ecco che arrivano le bitumiere. Negli arsenali centrali sono stipati migliaia e migliaia di bidoni d’asfalto pronti ad essere utilizzati non appena si sollevi un minimo dubbio sull’operato di una qualsiasi amministrazione pubblica. E se non ci sono i bidoni, c’è un telefono pronto a chiamare chi l’asfalto lo fa e poi lo posa. 

E poi arriva l’asfalto. Disteso sull’asfalto vecchio che ha già coperto quello prima. Asfalto copre asfalto.

Nonostante la stazza, le asfaltatrici sono macchine svelte, raggiungono il paese nottetempo o di primo mattino, te le trovi davanti mentre fai colazione o vai al lavoro. Piccoli segnali stradali vengono posizionati ai margini delle vie, minimi disagi assolutamente transitori, le auto dolcemente sgomberate per fare spazio al nuovo tappeto. E, tempo un’ora o due, il malcontento diffuso diviene isolato, qualcuno ancora si lamenta per piccoli, in fondo insignificanti, disastri storici che non avranno mai una soluzione, ma intanto l’asfalto è arrivato a smorzare, anche acusticamente, ogni appunto.

Quando arriva, l’asfalto copre tutto: conflitti di interesse, incarichi clientelari e appalti confezionati “a misura”; inoltre ha un effetto narcotizzante anche nei confronti di minoranze moleste, crisi commerciali e collassi culturali, ma soprattutto restituisce un senso di tranquilla uniformità anche a zone indecorose per aspetto e custodia. 

Una volta posato, l’asfalto riceve immediatamente numerosi consensi, la popolazione è sensibile al fascino dell’asfalto: lo apprezza, a volte partecipa anche al suo allestimento collaborando al disegno della segnaletica, offre il proprio istinto artistico, spuntano soluzioni originali: è questa, in sostanza, la “democrazia partecipata” della quale tanto ci si gloria.

I cittadini camminano felici sull’asfalto nuovo, passano e ripassano con le ruote delle loro vetture, o ci corrono sopra felici, qualcuno a piedi nudi per sentire l’indubbia qualità, la calda superficie così rassicurante. L’asfalto probabilmente contiene qualche sostanza narcotizzante che fa dimenticare ogni guaio, rassicura i critici, zittisce gli scettici, imbarazza gli illusi rivoluzionari. Inoltre, particolare non trascurabile, è di colore nero: dunque sfina e sta bene su tutto.

Mentre la città va a pezzi, i ragazzi emigrano, gli alberi scompaiono e affari privati si consumano nell’ombra, le strade si rinnovano, una ad una, poco per volta, a rotazione.

Lisce, splendono al sole con il loro mantello antiurto e anti corrosione.

I cittadini si godano il nuovo manto d’asfalto: l’unico intervento, probabilmente di interesse pubblico, che gli è concesso.


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