LA RUGA

Il 2 Marzo del 2024, sporgendomi, come faccio ogni mattino, verso lo specchio del bagno, scoprii la ruga che mi rigava la fronte.

Saliva dal sopracciglio destro fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli: era lunga e profonda.

Provai a stirare la faccia per nasconderla, ma quella non se ne andava.

Intanto mi chiedevo: «Ho forse sbattuto contro lo spigolo di un armadio?».

Oppure: «Ho, inavvertitamente, utilizzato qualche arnese rigandomi la fronte?».

Ma non era una ferita. Era una ruga.

Rimasi a fissarla venti minuti, girando e rigirando la faccia. Alzando e abbassando il mento. Lisciandola con la pressione delle dita. Ma quella non si spostava di un millimetro.

Cercai allora, disperatamente, nei cassetti del bagno qualche crema che potesse aiutarmi ma tutto quello che trovai fu un inutile fondotinta.

Quel mattino avevo alcuni impegni di lavoro piuttosto urgenti ma pensai fosse meglio restare a casa.

«Non posso andare in ufficio in queste condizioni» pensai.

Fabio, che è cinque anni più giovane di me, mi avrebbe certamente preso in giro.

Bernie commentato con il suo solito catastrofismo. Renato, viceversa, mi avrebbe incoraggiato consigliandomi qualche amico medico.

Persino Sandra, che non mi guarda mai, se ne sarebbe accorta.

Feci alcune telefonate e rimandai ogni impegno.

Non avevo nessuna intenzione di uscire di casa con quella ruga sulla fronte.

Trascorsi la giornata sul divano a cercare notizie scientifiche sul sopraggiungere delle rughe. Anzi, della ruga. Tuttavia, per quanto cercassi, non trovai nessun esperto che fosse in grado di spiegare come una ruga potesse comparire da un giorno all’altro.

Nel pomeriggio bevvi una camomilla e provai a tranquillizzarmi eseguendo alcuni esercizi di stretching. Feci anche delle manovre di rilassamento facciale che trovai su un vecchio libro di medicina orientale.

Ad intervalli regolari tornavo a guardarmi allo specchio del bagno nella speranza che la ruga fosse andata via, o almeno si fosse rimpicciolita, ma quella non si muoveva da là.

Il giorno dopo mi svegliai con l’ansia di controllarne la presenza.

Era ancora là, fissa.

Perplesso, rimasi a guardarla ancora qualche minuto, quindi decisi che non potevo restare chiuso in casa.

Indossai un cappello dalla tesa larga cercando di coprirla il più possibile e mi presentai al lavoro.

In ufficio erano tutti presi da altre faccende. Fabio mi domandò dell’assenza del giorno prima ma solo perché avevo promesso di offrirgli il caffè. Bernie mi raccontò della madre convalescente dopo un intervento delicato. Sandra se ne stava in disparte ancora più del solito: aveva guai col marito. Renato non c’era: suo figlio aveva avuto un incidente col motorino ed era finito in ospedale.

Era inevitabile che da un momento all’altro qualcuno mi dicesse: «Ma cos’hai sulla fronte?».

Ma il giorno terminò senza che nessuno mi avesse chiesto spiegazioni sulla ruga.

Eppure era talmente evidente!

Pensai fosse semplicemente una questione di educazione.

Tornando a casa mi piegai a guardarmi nello specchietto retrovisore di un auto. Il sole basso del tramonto ne colpiva la superficie e la ruga sembrava essersi spianata.

A pochi centimetri di distanza dalla ruga comparve il mio sorriso.

«Era probabilmente solo un segno di stanchezza» pensai.

Ma quando fui nell’ascensore, sotto la lampada al neon giallo la ruga ricomparve sembrando ancora più profonda. Quel taglio deciso mi sfregiava il profilo. E il sorriso svanì.

Quella notte sognai che la ruga mi parlava.

“Bhè, cos’hai da guardarmi tanto?” mi diceva.

“Non hai mai visto una ruga?”

Aveva occhi e bocca e da là mi scherniva.

“Smettila di guardarmi. Oramai sono qua. Abituati!”.

«Che vuoi da me?» gli urlavo. «Sparisci».

Ma più mi infervoravo, più lei pareva allargarsi.

«Sparisci!» gridavo fortissimo.

Ma lei rideva e ridendo si ingrandiva. Ora occupava tutta la mia fronte. E dalla fronte si espandeva lungo tutta la mia faccia e il corpo. Finché mi ingoiava ed io diventavo la ruga della ruga.

E ancora, da quel segno piccolissimo che ero diventato, sentivo che mi parlava.

«Per sempre. Staremo insieme per sempre…».

Al mattino ricordavo perfettamente quell’incubo.

Oltrepassai veloce la specchiera del bagno, cercando di ignorarla.

Mi rimbombavano nella testa le ultime parole che mi aveva detto la ruga: “…per sempre”.

In ufficio Fabio era preoccupato per la rata del mutuo in scadenza, la madre di Bernie aveva avuto una ricaduta, Sandra se ne stava tutto il tempo alla scrivania a mugolare e Renato era ancora in ospedale al capezzale del figlio.

In tutto questo la ruga, pur svettando orgogliosa dalla mia fronte, sembrava non attrarre nessuna attenzione.

“Si erano forse messi d’accordo tutti?”.

Quella notte feci un altro sogno.

La ruga era sempre là ma accanto a lei ora ce n’erano altre, più piccole. Alcune parevano sue affluenti, altre correvano lungo nuove, imprevedibili, direzioni. E anche sulle guance. Mi guardavo le mani e le rughe erano anche là. Poi mi accorgevo che ero nudo e le mie cosce erano tracciate da lunghissime e profondissime rughe che giravano intorno alle ginocchia e proseguivano fino ai piedi e da laggiù svoltavano per risalire alle spalle, formando un’infinita circonvallazione di rughe.

Ma nessuno di queste mi parlava.

Anzi sembrava che fossi io che, incontrandole, volessi rassicurarle.

Nel frattempo, nudo, con le mie rughe, camminavo lungo una strada affollata. Guardandomi intorno dicevo “guardate quante rughe ho! Le vedete?” ma nessuno badava a me.

Il giorno dopo andai in ufficio senza il cappello.

Rivelai la ruga a Fabio che me ne mostrò due che teneva lui, una sulla fronte come me ed una sulla guancia.

«Da mò che le tengo» mi disse.

«Come hai risolto col mutuo?» chiesi.

«Non ho risolto. Non faccio in tempo a pagare una rata che subito arriva quella del mese dopo».

Bernie era passato solo a darci la notizia che la madre era morta.

«Era anziana. Doveva succedere» disse.

Renato era stravolto, aveva fatto due notti insonni in ospedale. Ma aveva un milione di cose da terminare ed era tornato al lavoro. Aveva affidato il figlio ad un medico che conosceva bene e del quale si fidava.

«E’ in buone mani. E qui bisogna andare avanti» aveva commentato.

Sandra si era lasciata col marito. Finalmente.

Ora non piagnucolava più. Era serena e, se possibile, ancora più bella.

Talvolta pareva che mi guardasse.

O guardasse la mia ruga.

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