IL PIU’ BRAVO DI TUTTI

C’è un motivo per cui La Nave di Teseo, una delle maggiori case editrici italiane, ha deciso di comprare i diritti e ristampare i gialli di Giorgio Scerbanenco, ed è un motivo molto semplice: Scerbanenco è il più bravo di tutti.

Nato a Kiev nel 1911, vero nome Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, visse da sempre a Roma, con la madre italiana; scoprì della morte del padre, fucilato dai bolscevichi nel 1919, durante un viaggio in Ucraina l’anno dopo; tornato in Italia rimase apolide fino al 1935 quando il regime gli riconobbe la cittadinanza registrandolo come Wladimiro Scerbanenko.

Fu la Rizzoli a cambiargli il nome in Giorgio e ad eliminare la “k” dal cognome, quando nel 1934 vi entrò con il compito di scrittore nel settore periodici.

Più volte ammise che furono le sue rubriche, come “La posta del cuore” che tenne su Grazia dal 1939 con lo pseudonimo di Luciano, ad ispirargli le vicende dei suoi libri. Richieste d’aiuto, intrecci familiari senza via d’uscita, confessioni inenarrabili.

Costretto ad ambientare i primi gialli negli Stati Uniti per la censura del fascismo (non si poteva raccontare l’Italia come un paese di delinquenti e assassini impuniti) Scerbanenco, dopo la seconda guerra mondiale, diede alla luce una lunga serie di romanzi dove è una Milano misteriosa e turbolenta ad ospitare i delitti e le derive psicologiche di criminali e «invertiti». Il suo personaggio più famoso, l’ex medico Duca Lamberti, è il protagonista di una quadrilogia, che insieme ad altri suoi romanzi sarà ripresa in numerosi film della fine degli anni ’60 (Milano calibro 9, La mala ordina, Spara che ti passa ecc…).

Scerbanenco riabilitò il genere noir, in una versione del tutto italiana, parallela ma non omologata alla corrente hard boiled americana, così come aveva fatto (con meno successo) in gioventù con i romanzi rosa e di fantascienza. Accanto all’Italia del “miracolo economico”, del genio imprenditoriale e della ricchezza improvvisa, punteggiò il paese dei disperati, dei reietti e degli ultimi; fuori dagli stereotipi, senza ipocrisie.

Giorgio Scerbanenco con le figlie Germana e Cecilia

In “I milanesi ammazzano al sabato” del 1969, forse il suo libro migliore, l’amarezza e la rabbia delle anime gentili, si manifesta in tutta la sua efferatezza. Duca Lamberti assiste impotente alla deflagrazione della violenza e della criminalità in una Milano nebbiosa e indifferente.

Ma il 1969 è anche l’anno della scomparsa di Scerbanenco, morto improvvisamente per arresto cardiaco all’apice del successo. I suoi ultimi racconti sono ambientati nei luoghi dove visse con la sua seconda moglie, prima a Lignano Sabbiadoro, quindi nel torinese. Postume, grazie al lavoro degli eredi, sono state pubblicate o ripubblicate una serie di opere di Scerbanenco, in cui il suo stile inconfondibile riaffiora senza incertezza.

Storie senza salvezza, vite senza scampo: nessuna possibilità di redenzione.

Timbro di fabbrica del più bravo giallista italiano (naturalizzato) di tutti i tempi.

(Alla memoria dello scrittore è intitolato il più prestigioso dei premi letterari italiani dedicati al genere poliziesco e noir: il premio Scerbanenco).

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