CIO’ CHE NON FURONO

Per riaffrancare gli architetti, non v’erano dubbi, serviva un architetto.

Ma non solo. Serviva un architetto scrittore. Uno bravo, molto.

Serviva Gianni Biondillo, architetto, insegnante all’Accademia di architettura di Mendrisio e giallista, “padre” dell’ispettore Ferraro; Biondillo che tra, noir, saggi e testi per cinema e televisione, ad un certo punto ha deciso di cimentarsi in un romanzo struggente, frutto di lungo lavoro di ricerca che riposiziona le lancette della storia agli anni in cui gli architetti occupavano il posto più nobile nel dibattito culturale della società civile

“Quello che noi non siamo” (Guanda, 2023) è dedicato alla generazione di architetti che durante il ventennio fascista si fecero trascinare dal vento del rinnovamento che spirava, fortissimo, in Europa e che, in Italia, con tutte le sue contraddizioni, si mescolava con il fanatismo del regime.

Architetti impegnati a combattere una guerra di pensiero che si ritrovarono soldati in trincea o prigionieri nei campi di concentramento. Una lenta discesa agli inferi, consumata nella Milano scintillante del Campari in galleria che dopo le leggi razziali, si incupisce. Sfinita dalle bombe alleate. Sopravvissuta ai repubblichini. Sostenuta dalla Resistenza.

E così le storie di Eduardo Persico, perseguitato e morto di stenti, di Giuseppe Terragni, tornato folle dal fronte russo e vittima di trombosi cerebrale, di Giuseppe Pagano (nato Pogatschnig, ebreo) morto nel lager di Gusen, e la coppia del gruppo BBPR Gianluigi Banfi, anch’egli morto a Gusen, e Ludovico Barbiano di Belgioioso, scampato dallo stesso lager, si intrecciano in un’unica incredibile trama.

Sono le storie di chi credette ingenuamente e di chi non si piegò mai, tenuto in vita dalla speranza di poter ricostruire il paese dalle sue macerie fisiche e morali. Vittime, gli architetti, dei loro stessi ideali: di ciò che non furono.

Un inno alla bellezza del razionalismo contro l’apparenza, della democrazia contro la dittatura, dell’etica contro la corruzione, della speranza e non della paura.

Una grande lezione per tutti.

Specie per chi, ancora oggi, non sa dirsi antifascista.

“Quello che noi non siamo”, premio Bagutta 2024, è un libro che ogni architetto dovrebbe leggere. Subito.

E non solo loro, naturalmente.

P.S.: Ma ho scoperto che prima di “Quello che noi non siamo”, esattamente 8 anni fa, Biondillo aveva già scritto un libro altrettanto straordinario, dedicato ad un’altra, precedente, generazione di fenomeni. Gli artisti che tra il 1909 e il 1915, rivoltarono come un calzino l’arte di questo paese, spinti dall’utopia futurista e domati dalla furia immaginifica di un leader matto e vaneggiante: Filippo Tommaso Marinetti. “Come sugli alberi le foglie” (Guanda, 2016), è il diario di una folle corsa verso l’inferno della prima guerra mondiale, alla quale i futuristi, al pari di altri interventisti (D’Annunzio, il direttore del Popolo d’Italia, tal Benito Mussolini) vollero assolutamente partecipare. Una tragedia rivissuta attraverso gli occhi di un giovane architetto, il più visionario, talentuoso e generoso, Antonio Sant’Elia, richiamato, nei suoi anni più ispirati, sul fronte carsico, dove morì durante un assalto ad una trincea nemica. “Come sugli alberi le foglie” come “Quello che noi non siamo” è un libro indispensabile, struggente, imperdibile.

Tanto che dovendo consigliare un ordine di lettura, confesso, non ne sarei capace.

«E’ finita per noi. Abbiamo vissuto un’alba bellissima e ci siamo ritrovati al tramonto senza rendercene conto» (…)

«Tu hai l’arte, hai l’architettura».

Ma Terragni non gli dava retta. L’argomento sembrava non attecchire.

«E’ tutto finito. Finito. Non abbiamo capito niente. Io non ho mai capito niente. Sai quanto ho amato l’Italia. Ora non la capisco più».

(Dialogo tra Pietro Maria Bardi e Giuseppe Terragni, primavera del 1943)

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