Non è facile visitare una delle meraviglie architettoniche della costa d’Amalfi neppure ora che il suo inquilino più prestigioso non c’è più ed è diventata un resort di lusso.
Su “La Rondinaia”, villa costruita nel 1927 per desiderio di Lucylle figlia del nobile inglese William Beckett, anche detto Lord Grimthorpe, che aveva già tirato su Villa Cimbrone della quale il “nido delle rondini” doveva essere una dèpendance, c’è un’ampia (talvolta fantasiosa) letteratura alimentata abbondantemente dal suo proprietario più illustre, lo scrittore americano Gore Vidal che la comprò nel 1972, trasferendosi stabilmente nel 1984 e lasciandola nel 2007, due anni dopo la morte del suo compagno Howard Austen.
Tornato a Los Angeles, dove morì nel 2012, gli pareva di sentire ancora, così raccontava, la voce dei barcaroli che navigando trecento metri più in basso, dicevano ai turisti: “Lassù abita lo scrittore Gore Vidal”.
Si narra che Vidal non fosse molto amato dai ravellesi. Qualcuno lo sentì dire “io non vivo a Ravello, io vivo alla Rondinaia”. Capitò pure che dei giovani locali, arrampicandosi lungo i tornanti alberati, lo trasportassero dalla “Rondinaia” in carriola.
Ad un architetto iraniano che gli regalava tappeti, disse: “…questa è solo una casa, io abito nella mia testa”.
Vidal arrivò a Ravello per la prima volta nel 1948, su una jeep di seconda mano dell’esercito americano guidata dal suo amico Tennesse Williams, che lamentandosi di essere cieco ad un occhio, rese l’esperienza di quel viaggio ancor più suggestiva.
Tornatoci, un quarto di secolo dopo, Vidal visitò la villa. Gli piacque il fatto che seguisse una classica pianta romana: la disposizione delle stanze, disimpegnate da lunghi corridoi gli ricordava lo schema della domus antica. Tuttavia la “Rondinaia” possiede tutte le caratteristiche dello stile architettonico locale: i soffitti con volte a botte, le piastrelle colorate sul pavimento, le canne fumarie che spuntano come funghi dalle coperture e le bucature ad arco a bifora.
E ancora: il bianco delle facciate, i decori ad intarsio dei muretti, i coronamenti curvilinei di tegole in copertura e le riggiole in “cotto” sulle terrazze.
Per la posizione, la riconoscibilità e l’autorità dei committenti, la “Rondinaia” è stata nel tempo ancora più di Villa Cimbrone e Villa Rufolo, modello di stile, adottato da architetti e costruttori di tutta la costa. Si può dire che Nicola Mansi, che la progettò e Francesco Amato artigiano e scalpellino che la costruì, entrambi ravellesi, hanno così svelato un linguaggio popolare ma fino a quel momento non noto, che oggi identifica chiaramente l’architettura tradizionale dei luoghi.
Un’architettura “alta” trasferita ovunque, un catalogo di soluzioni accettate come “adatte”, promosse dalle soprintendenze, accettate dal popolo come “belle”.
Un argine, finora incrollabile, all’avanzata del contemporaneo.
(foto di copertina tratta da vogue.it)
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Avevamo (io ho ancora) il viale di ingresso in comune verso la sua casa. Quella notte, di rientro dalla piazza da una delle sue serate alcoliche, mentre percorrevo il viale buio, inciampai nel suo fisico corpulento riverso a pancia sotto. Non riuscii a trovare una carriola per portarlo a casa da solo. Mi aiutò l’albergatore Gino Schiavo. Quando scrisse il libro “Creazione ” mi nominò guardiano notturno della “Rondinaia” per un lungo periodo di tempo, mentre faceva da spola tra Ravello e Roma dove aveva una casa. In quel periodo, provai l’ebbrezza della vita di un “riccastro” americano. Questo accadeva quando era appena finito il decennio degli anni ’70.
Forse anch’io sono appartenuto a quella schiera di ravellesi che non hanno amato Gore Vidal. Era troppo lontano dalla mia cultura contadina.
E poi, ci metteva del suo per essere detestato. Espressioni del tipo: io non abito a Ravello ma alla Rondinaia (espressione che ti confermo, caro Christian) non lo aiutavano affatto.
Solo da poco, superati i miei sessant’anni, realizzo chi incontravo, nel viale in comune, in estate quasi ogni giorno, e il reale spessore di chi avevo come vicino di casa.
Gino Amato