L’ADDIO

“Non è facile lasciare un uomo innamorato” mi diceva Nunzia qualche settimana fa, mentre eravamo seduti su una panchina al lungomare.

Essendo al corrente dell’intera storia, avrei potuto tranquillamente risponderle: “lo sapevo che sarebbe andata a finire così”.

Nunzia aveva preso a frequentare uno.

Lo aveva conosciuto ad una cena aziendale. Di quelle consumate in piedi, fredde, dove metà dei presenti cerca di conoscere l’altra metà che, viceversa, cerca di non conoscere nessuno.

Nunzia, quella sera, almeno apparentemente apparteneva a questa seconda categoria di persone.

Purtroppo però, al tavolo del punch, si era imbattuta in questo esemplare, piuttosto singolare di uomo, che aveva «attaccato bottone» parlandole delle virtù energetiche del succo di pompelmo rosa.

Nunzia aveva provato a sfuggirgli, ma poi era rimasta incuriosita dall’eloquio sciolto di questo tipo che, tra le altre cose, si vantava di essere un ciclista semiprofessionista e di essere stato addirittura convocato per un raduno di selezione al tour de France.

Ma questo molti anni fa.

“Ma tu odi i ciclisti!”. L’avevo subito ammonita.

Nunzia aveva alzato le spalle, remissiva. Pur odiando la categoria, gli aveva concesso prima udienza e poi credito, accettando, persino un suo invito al cinema per il fine settimana successivo.

“Non sarà un po’ troppo intimo il cinema?” avevo esternato le mie perplessità.

“E’ la sala parrocchiale” si era giustificata lei.

Dopo il cinema, Nunzia e il ciclista si erano fermati in un bar poco lontano. Lui si era mostrato parecchio disinvolto nel raccontarle le sue imprese sportive. Nunzia aveva valutato quegli episodi gonfiati e le prestazioni sovrastimate, ma, soggiogata dalla fierezza di lui, aveva fatto finta di crederci completamente.

“Cosa c’è che ti attrae?” avevo provato a farle recedere dal continuare quella frequentazione.

“Quasi nulla. Eppure…”

“Mollalo subito” le avevo inutilmente consigliato.

Purtroppo quella frequentazione, pur del tutto sbilanciata, era andata avanti.

Ogni volta Nunzia accettava gli inviti per la curiosità di capire dove quel tipo “voleva arrivare”. E così era arrivato il punto in cui lui si mostrava, inesorabilmente, innamorato di lei.

“Ma tu cosa provi per lui?” le avevo domandato solo qualche giorno prima.

Avrebbe dovuto rispondermi “niente”, invece Nunzia aveva balbettato monosillabi incomprensibili, finché era riuscita a dire: “simpatia”.

Per questo motivo, ora, sulla panchina del lungomare ci si arrovellava per decidere come comunicargli che quell’amore non era corrisposto.

Proprio non se la sentiva di dirglielo chiaramente.

Nunzia rappresenta un esemplare raro di donna: quelle che non sanno lasciare un uomo.

In genere sono gli uomini che non ne sono capaci. Ci riescono solo quando hanno già trovato un’altra. Le donne, al contrario, sono abilissime nel liberarsi degli uomini, specie di quelli più innamorati. Noncuranti delle conseguenze psicologiche, gli frantumano il cuore in milioni di minuscoli pezzi.

“Potrei mandargli un messaggio” disse all’improvviso Nunzia afferrandomi un avambraccio e scuotendomelo con forza.

“Non mi sembra un modo adeguato per formulare un addio” risposi algido.

“E se gli scrivessi una lettera?”

“Scivoleresti nel melodrammatico. Lo so”.

“Un telegramma?”.

Un telegramma. Che scemenza!.

“Non c’è più nessuno al mondo che usa i telegrammi!”.

Nunzia, disperata, esaminava varie soluzioni, anche le più estreme, senza essere convinta di nessuna.

“Gli addii sono sempre complicati” mi limitai a dire.

“E’ una persona così sensibile…”.

Ci alzammo da quella panchina senza aver deciso nessuna strategia.

Nunzia pensò di darsi malata per qualche giorno, per avere il tempo di pensarci su.

Ma quella domenica il ciclista la invitò ad una pedalata sul lungolago.

Che io ricordi, Nunzia non ha mai praticato uno sport, neanche sotto tortura. All’idea che salisse in bici, anche solo per poche centinaia di metri, rabbrividivo.

Il giorno prima mi telefonò disperata.

“Non voglio ferirlo” mi disse.

“Che hai deciso di fare?”.

“Andrò in bici. Ma poi giuro che glielo dico!”.

Nonostante tutte le precauzioni adottate dal ciclista, la gita fu una vera sofferenza. Nunzia  cadde due volte e si ustionò il collo.

Lui la riaccompagnò a casa, le medicò le escoriazioni e le spalmò una crema idratante sulla schiena. Prima di salutarla le preparò anche una bevanda ricostituente frullando i frutti di bosco e i mirtilli che aveva raccolto lungo il percorso.

Infine, per incoraggiarla, le recitò a memoria alcuni versi dello scrittore argentino Osvaldo Soriano.

Nunzia, che si era preparata un discorsetto di commiato, rimase smarrita e silenziosa.

In amore, gli esseri umani si dividono in due specie: quelli che lasciano e quelli che sono lasciati. Ora Nunzia galleggiava inerme nel bel mezzo del guado.

“Potrei dirgli che possiamo restare amici, se vuole”.

“Ecco” pensai “non esiste errore più fatale che dire ad un uomo innamorato: restiamo amici”.

“E’ un tipo perspicace, se inizio a rifiutare i suoi inviti, dopo un po’ capirà e si arrenderà”. Decise infine Nunzia.

Si illudeva. Nessun uomo innamorato si arrende.

Infatti, nonostante Nunzia si sottraesse a qualsiasi approccio fisico, il ciclista non la mollava. Continuava ad invitarla al cinema, all’aperitivo, alle mostre d’arte, alle partite di basket, tennis, pallavolo, a pedalare (ma qui Nunzia rifiutava), a guardare le stelle, a mangiare la pizza, ai concerti di musica classica, jazz, rock.

La sua ostinazione superava ogni più tetra immaginazione.

D’altronde, la tenacia è una delle doti fondamentali di un buon ciclista.

Era la visione dell’arrivo che gli era sconosciuta.

Insieme studiammo decine di modi per allontanarlo, ma tutte le volte Nunzia era vittima dei rimorsi della coscienza e rimandava.

Mi proposi anche volontario.

“Posso dirglielo io se vuoi”

“Ma non ti conosce. Non ti crederà”.

“Mi firmi una procura”.

Ma erano tutte soluzioni poco convincenti.

Riconoscevo anche in me una certa approssimazione nell’elaborare un metodo.

Eppure quante volte nella mia vita ero stato io «il ciclista»!.

Ero stato allontanato con discorsi lunghi o corti. Frasi secche o giri di parole, una telefonata, un sms. In tempi recenti, addirittura con una e-mail.

Sempre in sella a quella stupida ed inconcludente tenacia che conduce soltanto verso il traguardo della malinconia.

La mia collezione di addii era lunga e prestigiosa.

La storia di Nunzia e del ciclista è andata avanti per quasi tre mesi. Identica. 

Nunzia si sacrificava almeno due sere alla settimana.

Finché lui non si fece più sentire.

Nunzia mi chiamò allarmata: “sono quattro giorni che non si fa più vivo!”.

“E non sei contenta?”

“Bhé, si, cioè… non so. Ho forse fatto qualcosa di sbagliato?”.

La notizia lasciò perplesso anche me.

Rientrando a casa quella sera, forse suggestionato, mi parve di vederlo passare, il ciclista. D’un tratto venne raggiunto da una donna fasciata in tuta aderente blu elettrico e scarpini rosa che pedalava svelta.

Li vidi passare e sparire, come due spettri nel buio.

Non ci badai: potevano essere chiunque.

Passarono altri due giorni.

Poi, la mattina del terzo giorno, il postino bussò al citofono di Nunzia chiedendole se poteva scendere un momento.

L’aveva lasciata lui: con un telegramma.

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