31 DI LUGLIO

tapparellaC’erano i soliti tre seduti sulla solita panchina di fronte al mare. Ma quella non era la solita sera. Erano le venti del 31 Luglio, tra dodici ore esatte, Veronica sarebbe ripartita per la città, lei con i suoi genitori che avevano presso in fitto una casa in paese, ma solo per il mese di Luglio.

Così funzionava, la famiglia prendeva una casa al mare per un mese intero, poi la mattina del primo giorno del mese successivo si tornava in città, il primo giorno di Agosto sarebbe arrivata una nuova famiglia, altre facce e quelle vecchie, forse, sarebbero tornate solo l’estate successiva.

Quindi era quello l’ultimo giorno a disposizione.

Stefano era stato il primo a conoscerla, per caso, al cambio gettoni della sala giochi. Marco l’aveva invece conosciuta al bancone della tavola calda, una sera che lei non aveva i soldi sufficienti per comprare una pizzetta e lui, rinunciando alla sua, glieli aveva prestati.

Luca era stato l’ultimo ad incontrarla. In realtà l’aveva notata già il primo giorno che era arrivata, ovvero il primo di Luglio,  ma poi un po’ perché era timido, un po’ perché non si presentava mai l’occasione giusta, era rimasto sempre in disparte. Finché un giorno, mentre giocavano a nascondino tutti insieme, l’aveva seguita e le aveva chiesto: “come ti chiami ?”, mentre si nascondevano.

E lei aveva risposto “Veronica, Veronica Mansi”. Ma Luca era rimasto per giorni con il dubbio che fosse Manzi, con la “z” e non con la “s”, ma non osava chiederglielo, finché, per puro caso, aveva visto il nome scritto sul portachiavi e allora aveva capito che si scriveva con la “s”.

Quella sera, Luca, Stefano e Marco, avevano cercato Veronica in tutti i soliti posti: in spiaggia, alla tavola calda, sul muretto del vicolo, in piazzetta, in sala giochi e persino nel cortile sotto casa sua, senza trovarla.

Forse è già partita” aveva detto Luca, che era tanto timido quanto pessimista.

E’ impossibile, ho sentito dire da mio zio che conosce suo padre, che partivano domani mattina all’alba”, rispose Stefano.

Non abbiamo più molto tempo” disse Marco che era il più piccolo dei tre e al massimo alle 22 doveva stare a casa.

Dobbiamo assolutamente trovarla prima che parta” disse Stefano che era certamente il più  determinato dei tre.

E’ stato imprudente ridursi all’ultimo giorno” gli fece eco Marco che non riusciva a rimuovere dalla memoria l’ordine di dover rincasare entro le 22.

Magari è uscita con i genitori, e torna tardi. Non possiamo mica stare in giro ad aspettarla fino a notte fonda ?” concluse Luca.

Stefano prese in mano la situazione, si alzò di scatto e ordinò: “Luca stai tranquillo, la troveremo, ora rifacciamo tutto il giro, rosticceria, sala giochi e piazzetta, se non la troviamo si va sotto casa sua e si aspetta là”.

Gli altri due seguirono Stefano che prese a camminare svelto, slalomeggiando tra la folla con gli occhi bene aperti. In sala giochi chiesero se qualcuno l’avesse vista ma il suo gioco preferito era deserto e quel giorno nessuno l’aveva incontrata. Alla tavola calda, il ragazzo al banco disse che quella sera Veronica non era passata da là e forse neanche la sera prima, ma non era sicuro. In piazzetta, un quartetto intonava vecchie canzoni anni ‘60, Veronica amava la musica e il canto, se fosse stata in giro l’avrebbero rintracciata seduta dinanzi alla cantante, per terra, con le gambe incrociate come faceva di solito. Ma non c’era.

A questo punto si va sotto casa” sentenziò Stefano. Marco guardò l’orologio ed approvò, Luca terrorizzato dal non rivederla, si fece convincere facilmente.

Quando arrivarono nel cortile dove i genitori di Veronica avevano fittato casa, Stefano studiò bene la situazione. Diede uno sguardo alle finestre del secondo piano, la luce in cucina era accesa e questo era già un indizio importante. Fece il giro del cortile e scorse l’auto del padre di Veronica parcheggiata nell’angolo. Marco diede un’occhiata all’interno e vide già dei bagagli sistemati sul sedile posteriore. Stefano ebbe praticamente la certezza che Veronica quella sera non sarebbe più uscita. Luca uscì dal cortile, tornò sulla stradina in un punto da dove si vedeva la camera di Veronica. Per tutto il mese aveva cambiato il suo solito percorso per passare proprio in quel punto e vedere se lei fosse in casa. La mattina quando scendeva per andare in spiaggia controllava se le tapparelle fossero abbassate. Tapparelle abbassate fino in fondo significava che Veronica stava ancora dormendo, tapparella alzata a metà voleva dire che Veronica era sveglia ma stava ancora in camera. La tapparella completamente sollevata era il segnale che Veronica era uscita e sua madre stava sistemando la stanza. Una sorta di spionaggio che Luca operava non solo di mattina, ma tutte le volte che era in cerca di Veronica.

In quel preciso momento la tapparella era sollevata di una ventina di centimetri. Luca provò a decriptare quel segnale: probabilmente Veronica era in casa ma non era ancora andata a letto, ma era altrettanto probabile che fosse già pronta per andarci. Una lacrima di disperazione e tristezza gli comparve sulla guancia sinistra.

Stefano che non aveva nessuna intenzione di arrendersi, era già alla ricerca di una soluzione che non poteva che essere quella definitiva: bisognava citofonare e chiedere di Veronica.

Luca, l’unica cosa che possiamo fare è bussare al citofono. Ci vuole un volontario”.

Non guardate me” disse subito Marco che comunque era il più piccolo ed automaticamente si sentiva esentato dalle responsabilità.

Certo, potrei farlo io, ma devi farlo tu !” decise Stefano, indicando Luca.

Luca si asciugò la lacrima dalla guancia e avanzò lentamente verso gli altri due. Sapeva che era quella l’ultima occasione per rivedere Veronica e non provò neppure a proporre alternative, tipo chiedere a Stefano di bussare il citofono per lui.

Come devo dire ?” chiese Luca impacciato.

Facile. Bussi, se risponde il padre o la madre dici, scusate siamo degli amici di Veronica, potete dirle se può scendere un attimo ?

E se risponde lei ?” chiese Luca, un po’ ingenuamente.

Bhè, a quel punto è ancora più semplice, le dici, ciao Veronica, puoi scendere un attimo ?

Luca fece un enorme respiro, mentre ripassava la frase per mandarla a memoria. Non sapeva se sperare che rispondesse un genitore o proprio lei in persona. Fatto sta che si avvicinò alla pulsantiera del citofono e con l’indice incerto passò in rassegna tutti i cognomi.

Fu a quel punto che il portone dell’edificio si aprì con un profondo rumore metallico. Luca fece un passo indietro finendo sulle gambe dei suoi due amici. Il padre di Veronica, trasportando una pesante valigia, uscì dal pianerottolo in ciabatte e maglia a maniche corte. Quando fu sull’uscio squadrò i tre ragazzi dall’alto in basso, li aveva già visti da qualche parte, probabilmente li riconobbe come amici di sua figlia.

Luca provò a dire qualcosa: “Buonasera, noi, volevamo, cioè, se non era troppo disturbo, scusate, se può dire a sua figlia…”.

Stefano comprese subito che doveva intervenire: “siamo amici di Veronica, volevamo salutarla, può dirle di scendere ?”.

Il padre di Veronica rimase un attimo in silenzio, poi incrociò il sorriso ingenuo di Marco, felicissimo perché erano le 21.40 e, in ogni caso, avrebbe visto l’epilogo di quella storia in tempo per poter rientrare a casa per le 22.

Il padre di Veronica, non si scompose, fece un cenno d’intesa con la testa poi raggiunse l’auto in fondo al cortile dove posò la valigia; quando tornò indietro guardò i ragazzi e disse “aspettate qui”.

Marco guardò Luca che guardò Stefano, un lieve sorriso era spuntato sul viso dei tre amici.

Luca si sistemò i capelli con la mano, Stefano e Marco fecero un passo indietro, lasciandolo proprio davanti al portone.

Veronica comparve sulle scale, era bella e svelta come al solito. Nei suoi occhi c’era un velo di tristezza che non era riuscita a nascondere, quando fu davanti a Luca gli chiese: “Siete venuti a salutarmi ?”. Ma mentre lo diceva, pur parlando al plurale, guardava solo Luca, fissandolo dritto in viso.

Luca avrebbe voluto fare un bel discorso, dirle che quello era stato un mese straordinario, che non aveva mai vissuto un Luglio così bello nella sua vita, ma neanche un Giugno, un Agosto o un Settembre. Figuriamoci un Ottobre. Insomma, non aveva mai vissuto un mese così bello. Ma anche che un mese è solamente un soffio, un intervallo veloce e  troppo breve per tutti i suoi desideri.

Avrebbe voluto dirle che gli piaceva guardarla nuotare, leggera sull’acqua come una sirena, o quando in sala giochi lei gli chiedeva i trucchi per avanzare ad un nuovo livello. Gli era tanto piaciuto quando in spiaggia aveva cantato quella canzone di Battisti mentre uno grande suonava la chitarra. E poi voleva anche dirle che gli dispiaceva tantissimo che partiva e che desiderava tanto che tornasse l’anno dopo, perché lui sarebbe stato sicuramente là ad aspettarla. Ecco, tutto questo avrebbe voluto dire, ma alla fine riuscì a dire solamente: “Si, per salutarti”.

Nell’aria di fine Luglio di quel cortile, rimase sospesa una folla di parole non dette. Marco si passò una mano davanti agli occhi per rompere l’imbarazzo, Stefano si trattenne a stento dall’intervenire.

Finché, e non c’erano alternative, fu Veronica a decidere di parlare.

Luca, ti ricordi che volevo leggere anche io quel libro che l’altro giorno tenevi in spiaggia ?”, Luca fece si con la testa: “L’isola di Arturo, giusto ?”.

Quello. Facciamo così, ti va di spedirmelo quando lo avrai finito ?”.

Luca non comprese subito che Veronica voleva dargli l’indirizzo di casa sua, in città.

Stefano che era svelto di gambe e cervello, tirò fuori una biro dalla tasca dei pantaloncini e la allungò a Veronica. Poi provò a trovare qualsiasi cosa che fosse di carta nelle sue tasche, uno scontrino, un biglietto del bus usato, ma non la trovò. “Maledetta carta che non c’è mai quando serve”, sussurrò tra i denti.

Fu in quel preciso istante che Veronica prese la mano di Luca, la girò sul dorso e là, scrisse il suo indirizzo di casa.

Mi raccomando però, non dimenticarti”. Poi disse qualcosa di simile ad un “ciao”, ma velocemente perché sparì nel pianerottolo dell’edificio in un secondo.

Stefano strinse i pugni come un calciatore autore di un goal decisivo, Marco si dimenticò di dover rientrare a casa e si mise a saltellare di gioia sul muretto del cortile.

Luca rimase immobile, a guardarsi il dorso della mano. Era felice, come un alpinista giunto sulla cima o che ha appena iniziato il percorso.

Cominciavano così, gli amori, nel 1989.

 

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