LE CRISI DELL’ARCHITETTO

crisi-lavoroSecondo una recente indagine, se chiedete ad un architetto: “come stai ?”, nell’85% dei casi vi risponderà: “in crisi”. A quel punto non bisogna accontentarsi di questa risposta generica, bensì cercare di capire da che tipo di crisi è tormentato l’architetto. A differenza degli esseri umani normali, infatti, l’architetto può accusare molte più forme di crisi, ma soprattutto è prassi che ne abbia più di una contemporaneamente e che per una questione di semplicità le riassuma nel concetto generale di crisi.

Ecco le cinque crisi tipiche dell’architetto.

–          Economica: Questa crisi va molto di moda per le reali difficoltà economiche che oggi si trovano a vivere gli architetti. Specie gli architetti che lavorano in proprio, che faticano a farsi pagare dai clienti e già sanno che non avranno mai una pensione. Per difendersi, l’architetto modera molto il suo stile di vita, evitando spese inutili o procrastinali, tipo l’acquisto del lettore della smart card per la firma digitale o eliminando tutti gli abbonamenti alle riviste di settore che occupano pure troppo spazio in casa. Per fronteggiare la crisi economica l’architetto può anche lanciarsi in attività collaterali difficili da pronunciare tipo il graphic designer o tristissime come il perito del tribunale. Il sintomo più evidente di un architetto in crisi economica è che gira ancora con la Fiat Uno del 1987.

–          Fisica: Il mito dell’architetto sportivo, attivo nel corpo e quindi nella mente è lentamente tramontato. Costretti a lunghissime file al catasto e ad interminabili sessioni di autocad anche notturne, l’architetto lentamente abbandona ogni attività sportiva specie quelle di squadra che prevedono allenamenti ad orari precisi ed impegni da garantire. E così sfuma anche quella tanto vantata diversità tra l’architetto magro snello e in forma e l’ingegnere ingrassato ed imbruttito; anzi: oggi ingegneri palestrati con capelli sale e pepe sfottono architetti sovrappeso con capelli in disordine o in caduta libera. Sintomi evidenti sono un’ansia di fondo che porta l’architetto ad avventurarsi, nella speranza di recuperare, in sedute di allenamento sfiancanti, tipo 5 km di nuoto in vasca lunga o mezze maratone la Domenica mattina.

–          Creativa: Si tratta della crisi meno grave tra le cinque; basta pensare che 3 architetti su 5 ne sono affetti da sempre e neanche lo sanno. Tuttavia per architetti già particolarmente alternativi, progressisti e anticonformisti, l’arrivo della crisi creativa è vissuto come un vero dramma. La perdita di concentrazione e di stimoli che sopraggiunge all’improvviso, li porta a riconsiderare l’uso della simmetria come soluzione a qualsiasi dilemma compositivo, mutando il riferimento da Gehry a Palladio. Altro sintomo indicativo è l’uso eccessivo della copia, che l’architetto considera sempre citazione, ma a volte è proprio una copia e basta. In genere l’architetto per uscire da una crisi creativa si affida ad attività alternative, tipo il cineforum d’essai, la lettura dei classici o il consumo di oppiacei.

–          Tecnologica: Molto frequente negli architetti over 50, ultimamente provoca una enorme moria di architetti pari a quella delle famose vacche in “Totò, Peppino e la malafemmina”. In genere la crisi sovviene dopo alcuni, coraggiosi, tentativi di aggiornamento che però non riescono mai a tenere il passo delle incessanti, sempre più complesse ed inutili, innovazioni che sopraggiungono sotto forma di acronimi inquietanti: PEC, POS, DOCFA, SID, PREGEO, MAV, APE. Con l’aggravante in termini di funzionamento della fantomatica firma digitale tra pen drive, smart card, driver da aggiornare, fatture elettroniche da spedire e ricevute telematiche da salvare con nome (tutto questo in un paese per molti versi ancora medioevale). Il sintomo più frequente è il vagare disorientato per uffici, con cartelle enormi, con la speranza (vana) di poter risolvere l’inconveniente di persona. A questo stillicidio di contrattempi resistono solo i più esperti e pazienti. Però per gli architetti in crisi tecnologica esiste un espediente: affidarsi ad un figlio/nipote o assumere un architetto (ma va bene anche un geometra) giovane e maneggione, sempre se non si è anche in crisi economica.

–          Esistenziale: Si tratta di un pericoloso crollo a livello psicologico che l’architetto accusa sommando pezzi e avvisaglie delle crisi precedenti, e ricordando con nostalgia quando a 19 anni voleva iscriversi a informatica o aprire una gelateria in centro. Questa crisi si riflette su tutti i comportamenti dell’architetto non solo lavorativi, ma anche in famiglia, dove l’architetto in crisi esistenziale ha preoccupanti cali di attenzione, che lo portano ad un disinteresse generale per ogni forma di conoscenza e all’azzeramento della curiosità, fino ad arrendersi e trascorrere il Sabato sera sul divano guardando “Ballando con le stelle”. Altre conseguenze sono la perdita repentina dell’autostima, con picchi depressivi in occasione di festività quali il Natale o il Ferragosto che spesso passa da solo davanti a Photoshop. Inoltre l’architetto in crisi esistenziale tende a trascurarsi e a dimenticare di versare la rata dell’Inarcassa o di comprare l’ultimo numero di Domus, con gravissime conseguenze, tipo non sapere se Calatrava ha terminato o no il suo ultimo ponte sul Bosforo.

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