L’architetto somatizza (guida al disturbo comportamentale del cliente)

munchurloAlcune facoltà di architettura ci stanno già pensando seriamente e forse per il prossimo anno accademico in qualche piano di studi già comparirà. Sto parlando del corso di “psicoterapia professionale applicata”. E’ chiaro infatti che con i tempi che corrono solo le persone con disturbi del comportamento possono affidarsi ad un architetto; d’altronde che gli architetti dovessero possedere rudimenti di conoscenze mediche già lo si intuisce dal fatto che quella di architettura sia l’unica facoltà, non medica (apparentemente), a numero chiuso. Già durante gli studi, i futuri architetti possono rendersi conto di quali patologie saranno costretti a fronteggiare, sia dal confronto con assistenti ed insegnanti sia perché ne cominciano a manifestare loro stessi i sintomi. Ma è la pratica professionale, ovvero il confronto con la clientela, a porre dinanzi all’architetto i casi più complessi.

Ecco i cinque disturbi comportamentali con i quali gli architetti si confrontano più spesso, in ordine di gravità:

Al quinto posto: La logorrea. La devono affrontare architetti che per affetto, ingenuità o semplice educazione si comportano troppo amichevolmente con il cliente in questione. Questo porta a scambiare l’architetto per un familiare, anzi più di un familiare poiché non coinvolto in faccende ereditarie e scazzi vari, e a confidargli qualsiasi vicenda privata. Il cliente logorroico può palesarsi in due forme differenti: di persona, cioè presentandosi all’improvviso direttamente in studio di solito quando l’architetto ha una scadenza fondamentale per la propria vita ed occupando militarmente la poltrona dinanzi alla sua scrivania per diverse ore impedendogli qualsiasi attività lavorativa, oppure telefonicamente, in qualsiasi ora del giorno o della notte, quando il cliente logorroico consulta l’architetto divagando su temi di qualsiasi natura e richiamando se, malauguratamente, cade la linea. Queste conversazioni hanno il vantaggio di potersi interrompere per improvvise gallerie o irreperibilità strategiche. L’architetto con clienti logorroici, di solito, ha due schede telefoniche.

Al quarto posto: L’ansia. Si tratta di un disturbo da stress che si manifesta in clienti particolarmente deboli alle prese, ad esempio, con una ristrutturazione particolarmente complicata che sarebbe dovuta terminare entro una certa data che progressivamente viene traslata in avanti nel tempo. L’ansioso dal punto di vista medico alterna stati d’animo contrastanti oscillando tra il depressivo e l’aggressivo, spesso lo stato ansiogeno si manifesta con una serie di quesiti di qualsiasi natura ai quali l’architetto fatica a rispondere per naturali lacune rispetto alla conoscenza di tutto lo scibile umano.

Al terzo posto: La nevrosi. Il cliente nevrotico è uno dei casi più frequenti e sottovalutati nel panorama scientifico internazionale. Di solito si tratta di uno stato indotto da fattori scatenanti, i due principali sono la burocrazia e i vicini di casa. In particolare questi ultimi, specie se litigiosi e armati di buon avvocato possono innescare fenomeni degenerativi nella mente del paziente, fino alle paranoie da sindrome da accerchiamento o al delirio persecutorio. Nei casi più gravi la nevrosi costringe il cliente a sottoporsi a trattamenti farmaceutici, l’architetto può unirsi al suo TSO o provare a sopperire con lo yoga o con dosi massicce di vino nel cartone.

Al secondo posto: Le amnesie: I vuoti di memoria possono essere il segnale di patologie molto gravi, tuttavia il cliente dell’architetto manifesta fenomeni dissociativi ben circostanziati che i psicoterapeuti chiamano “amnesie selettive”, queste si manifestano in diverse forme e tempi. Ma le amnesie più comuni sono quelle legati ai pagamenti. Infatti, nel periodo in cui l’architetto attende il pagamento del suo onorario, il cliente accusa la perdita improvvisa di ricordi appartenenti alla propria sfera personale, rimuovendo periodi anche molto lunghi della sua vita. Nei casi più gravi l’amnesia sfocia nel disturbo della depersonalizzazione, il cliente quindi ignora persino di conoscere l’architetto che quindi farebbe bene sempre a farsi firmare lettere di incarico o, meglio ancora, cambiali.

Al primo posto: il volubilismo. Anche detto “disturbo bipolare”, ne soffre il cliente che cambia compulsivamente idea, umore e stato d’animo più volte anche nel corso di un breve lasso di tempo. L’architetto deve essere abile a comprenderne la gravità. In genere questo disturbo si manifesta in maniera più evidente negli show room quando si è alla ricerca di un pavimento, ma anche nelle rivendite di sanitari e/o arredo bagno o nei reparti illuminazione. Il volubilismo, però, si può manifestare anche sul medio-lungo periodo, in fase di progettazione, in genere sulla posizione, dimensione e dotazione del bagno. Il volubile in genere crea all’architetto danni in ordine di tempo, denaro e stress, inoltre ne intacca fortemente l’autostima, fino a disintegrarla del tutto.

In genere l’architetto somatizza a tal punto i disturbi dei propri clienti, che dopo qualche anno, accusa almeno tre dei disturbi di cui sopra.

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