L’ARCHITETTO FIGLIO DI ARCHITETTO

padre-e-figlio

In questo paese, dopo il ’68, la prima e la seconda Repubblica e la rivoluzione  dei Millenials, è andata a finire che non conta più quello che si fa, ma quello che ha fatto (o fa) tuo padre. O tua madre, o tuo zio o, insomma, la tua famiglia.

Per quanto ci si possa sforzare di emanciparsi, alla fine il giudizio più fulminante sulle qualità di ognuno viene formulato in base alla discendenza.

Arrendiamoci: si rimane sempre e comunque “il figlio di”.

Lo canta anche il “Principe”: “Che i figli sono uguali ai padri e non c’è niente da fare” *.

In caso di padri scellerati, questo elemento rappresenta una specie di condanna imprescrivibile. Meravigliose carriere professionali di eccellenti rampolli possono essere rovinate in un solo istante, tirando fuori una multa per divieto di sosta comminata ad un genitore nel 1986.

Come si pongono oggi gli architetti dinanzi all’incognita-genitori ?.

Una ricerca statistica, condotta secondo nessun fondamento scientifico, afferma che l’architetto è pressoché insensibile alla questione della reputazione dei genitori. Nella metà dei casi, l’origine, la classe sociale ed il lavoro del padre, non influenza il destino dell’architetto.

Infatti, per quanto possa essere disgraziato un genitore, il figlio architetto è sempre una soddisfazione per la famiglia, sia che il suo operato riscatti la stirpe sia che ne confermi la mediocrità.

Poi ci sono alcuni casi particolari. Il più avvincente è senza dubbio l’architetto figlio di architetto.

Oggi molti architetti sono figli di architetti. Probabilmente si tratta di un corridoio genetico che si trasmette come la calvizie o l’asma. D’altronde se si ha un genitore architetto, divenire architetto (se proprio lo si desidera) conviene come conveniva farsi prete in tempo di guerra: si gode di innegabili vantaggi.

Di seguito alcuni benefici per l’Architetto Figlio Dell’Architetto (per il quale da ora utilizzeremo l’acronimo AFDA)

Innanzitutto l’AFDA, durante gli studi, non ha avuto bisogno di comprare il tecnigrafo, perché ha potuto utilizzare quello del genitore. Idem per i trasferibili, le squadrette e i graphos. Gli AFDA di ultima generazione ereditano il computer. Pure il manuale dell’architetto e le dispense di Bruno Zevi le rinvengono già a casa. Senza contare la ricchezza intellettuale della libreria: gli impenetrabili testi di Loos e Aldo Rossi e le edizioni ricche di illustrazioni a firma Kenneth Frampton. Per l’AFDA neolaureato è pronto lo studio e una scrivania genitoriale. Non ha nemmeno il problema di fare la gavetta o il praticantato perché lo svolge forzatamente dall’età di 14 anni. L’AFDA ha potuto anche ereditare tutti i clienti del genitore, con i vantaggi e gli svantaggi che questo procura. Infine l’AFDA recandosi negli uffici pubblici può sempre dire: “Buongiorno sono il figlio/a di…”, anche in questo caso ottenendo risultati mutevoli.

L’AFDA, inoltre, ha una propensione al lavoro festivo che, ad esempio, il figlio dell’impiegato pubblico non potrà mai avere. Sembra niente, invece in tempi di crisi è importante.

L’AFDA ha pure il vantaggio di essere cresciuto pimpante atleticamente perché il genitore lo ha sempre portato con sé come cooperante per rilievi acrobatici, su alture impervie o in pianure sterminate a temperature bollenti (omettendo di dirlo all’altro genitore, ovviamente). L’AFDA è sano perché ha mangiato prodotti locali e tipici, non trattati chimicamente grazie al genitore spesso pagato in natura con caciotte, salsiccia fresca, funghi appena colti, vino novello e pennuti testé sgozzati.

L’AFDA è svezzato culturalmente: ha viaggiato. Il genitore lo ha già portato in posti dove altri figli non saranno mai, tipo Poissy, Dessau, Utrecht e Racine nello stato del Wisconsin.

Gli unici che possono gareggiare con l’AFDA sono gli AFDI (figli di ingegneri) e gli AFDG (figli di geometri). Ma soccombono. I primi non hanno il tecnigrafo e al massimo hanno visitato il viadotto sul Basento, mentre i secondi, ammanigliatissimi al catasto, sono penalizzati da una pessima libreria dove manca del tutto Zevi nonché il manuale dell’architetto che certamente non può essere sostituito da quello de “Il bravo amministratore di condominio”.

Di contro all’AFDA mancano i benefici che ha l’AFDM (il figlio del masto) che non ha visto Poissy, ignora chi sia Zevi e non ha né un tecnigrafo né uno studio, però se deve mettere le riggiole del rivestimento al bagno, in mezza giornata lo fa.

Dura, infine, è la lotta con l’AFDP (il figlio del politico). Che, incapace, non ha nessuna attrezzatura, la libreria zeppa di “Quattroruote” e la Domenica si è sempre svegliato a mezzogiorno, ma, non si sa perché, riceve sempre gli incarichi pubblici.

(P.S.: Io sono AFDG)

*: Il “Principe”, Francesco De Gregori, il verso è tratto da “Finestre rotte” (2008).

Sull’argomento si legga anche: FIGLI ARCHITETTI E TECNICHE DI DISSUASIONE

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