La rivoluzione

Novocomun

Nel 1927 Ezio Peduzzi amministratore delegato della società immobiliare “Novocomun” di Olgiate Comasco, commissionò all’architetto Giuseppe Terragni, certamente il più dotato della sua generazione, un edificio a chiusura di un isolato in costruzione a Como sul delta del fiume Cosia in prossimità del lago. La città cominciò ad estendersi su quell’area, prima paludosa, dal 1925 in poi attraverso la realizzazione di edifici abitativi, strutture tecniche o industriali ed attrezzature sportive. Su un fronte principale di 63 metri parallelo alla riva del lago e allo stadio Sinigaglia (costruito nel 1925), Terragni non si discosta molto dagli approcci tradizionali sul blocco edilizio a destinazione abitativa; nella obbligata forma a “C” inserisce, all’interno del cortile altri due corpi rettangolari; posiziona le scale negli angoli ed al centro, illuminando i servizi tramite cavedi e pozzi di luce. La vicenda progettuale del “Novocomun”, però, è lunga ed articolata. Pur restando piuttosto consueto nella tipologia abitativa, il “Novocomun” rappresenta il punto di svolta dell’edilizia abitativa italiana, così come intuì brillantemente Pagano nel 1930 che lo considera: “il primo, organico ed esauriente esempio di architettura razionalista in Italia”, quando per razionalista si intende un edificio conformato alla necessità e alla logica, una razionalità sia dell’alloggio che della forma nel suo complesso quindi; esterno ed interno. Il “Novocomun” battezza inoltre anche per la destinazione casa, l’uso del cemento armato senza decorazioni di sorta, proponendo un’estetica già sdoganata da almeno un decennio nell’architettura dell’europa centrale.

Un’opera che pur non negando la sua naturale inclinazione a porsi come oggetto individuale in termini di dimensioni e linguaggio, risolve con naturale sensibilità il problema della chiusura dell’isolato attraverso soluzioni d’angolo di stampo costruttivista che denotano una brillante lettura della volumetria tramite lo svuotamento dei blocchi. Un lavoro di sottrazione unito ad un uso innovativo del colore che spiazzò la platea che gridò immediatamente allo scandalo.

Se Terragni, infatti, avesse seguito le indicazioni della commissione d’ornato (la commissione edilizia del tempo) non avrebbe mai cambiato la storia dell’architettura del novecento italiano.

All’inizio del 1928, infatti, l’architetto comasco aveva praticamente ultimato i grafici di progetto da sottoporre all’esame del comune per ottenere la licenza edilizia quando “Constatata l’impossibilità di ottenere l’approvazione del progetto così come era stato studiato, si decise di camuffare la facciata con timpani sopra le finestre, con lesene, fasce, cornici, contorni ecc. (…)”. La commissione d’ornato compiaciuta da questa composizione in libertà di elementi classicheggianti approvò il progetto giudicandolo anche meritevole di menzione. L’inganno permise a Terragni di realizzare il suo “Novocomun” di impronta razionalista evitando pareri censori preventivi; quando furono eliminati i teli di copertura lo scalpore fu enorme, tanto che per riesaminare l’edificio fu formato un gran giurì con alcuni nomi noti dell’architettura degli anni ’20 che non poterono far altro che constatare la bontà di quanto realizzato. Ma in pochissimi, in realtà, ebbero a comprendere in pieno ciò che poi scrisse ancora Pagano su La Casa bella: “(…) questa architettura, questa casa, che desta oggi tanti scandali e proteste, tanti allarmi e tante meraviglie, passerà poco tempo e non sarà più l’eccezione segnata a dito, l’anomalia. Sarà, e per tutti, La casa, la Casa di domani”.

Oggi il “Novocomun” continua ad ospitare famiglie nei suoi appartamenti, dopo il restauro operato da Luigi Zuccoli nell’immediato dopoguerra, ha però perso le cromie originarie, l’arancione delle parti scavate e l’azzurro delle parti metalliche. Percorrendo la sua lunga facciata si sente il bisogno di arrivare fino agli angoli e posizionarsi sotto l’aggetto triangolare nel quale si incastra il cubo cilindrico delle scale: un leggero senso di vertigine si avverte.

Visto con gli occhi del XXI secolo, il “Novocomun” non desta più sconcerto e passa praticamente inosservato tra le decine di costruzioni razionaliste di Como, eppure la lezione di Terragni è ancora viva e quanto mai attuale.

Ci aiuta a riflettere su quante commissioni edilizie (formate con logiche approssimative), quanti funzionari d’ufficio, titolari di scrivanie, piccoli caporali della nostra italietta, congelano il cambiamento delle nostre città, osteggiano la contemporaneità, avvallano vecchiume, falsi e paccottiglia di varia natura.

Per fare una rivoluzione non si chiede il permesso e questo, evidentemente, Terragni lo sapeva bene.

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