IL CARRELLO DELLE LIBERTA’

supermercatoCome ogni primo Lunedi mattina del mese, Benito si aggirava tra gli scaffali del supermercato spingendo il più ampio dei carrelli che rinveniva a disposizione all’ingresso. Ora si trovava nel reparto che lui più amava: quello della frutta e verdura, incantato davanti allo scompartimento delle mele. Vi erano, come sempre, mele di diversa qualità e grandezza. Benito, indossato il guanto di plastica trasparente, le soppesava con pazienza, rigirandosele davanti agli occhi come a studiarne bene la geometria e la tonalità del rosso o del giallo.

Finché si decise, scelse un tipo di quelle locali, ne prese una mezza dozzina, le pesò e le inserì nel suo carrello, accanto al pane e alla bottiglia del latte, che già aveva preso.

Attraversando il reparto della frutta secca, incrociò lo sguardo del giovane Alfredo, che lavorava da pochi mesi come addetto al magazzino. Entrambi sollevarono appena la mano, l’uomo staccandola appena dal manubrio del carrello, il ragazzo dallo spazzolone che stava trasportando da un locale all’altro.

Talvolta Benito chiedeva l’aiuto di qualcuno per estrarre tranci di merluzzo dalla lunga vasca dei surgelati. Faceva sempre una scorta di pesce, molluschi, pure salmone, si immalinconiva pensando allo sforzo che facevano per risalire la corrente. “Dopo tanta fatica” pensava, “finiscono nelle reti dei pescatori. E poi in questo congelatore”.

Al reparto macelleria Benito trascorreva solitamente un mucchio di tempo, rimbalzando tra scaloppine di vitello e cosce di pollo. Gli pareva incredibile avere a disposizione tutta quella carne, di così tante bestie differenti. Ogni volta ripensava agli anni complicati del dopoguerra in cui per mangiare la carne bisognava aspettare la Domenica, ma erano bistecche di tutt’altro sapore, a volte dure e gommose, da dividere con i suoi quattro fratelli.

Dopo così tanti anni, Benito non si era ancora abituato e quella infinita disponibilità di carne lo confondeva. Così come lo distraeva la presenza di decine di biscotti diversi: con i cereali, con le gocce di cioccolato, al latte, al burro, al cocco, allo zenzero. A volte, incontrando giovani ragazze dell’est che abitualmente frequentavano quel supermercato, avrebbe voluto chiedergli se anche nei loro paesi d’origine esistevano negozi come questi, occidentali, dove si può comprare tutto a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Ma certo che esistono” si rispondeva da solo Benito, ancora prima che avesse trovato il coraggio di tirare fuori il fiato e formulare la domanda. La guerra fredda era finita da un pezzo. La globalizzazione, così si chiamava quel fenomeno, ora permetteva a tutti di comprare tutto. E mentre ragionava in questo modo, lasciava cadere nel suo carrello confezioni di pasticcini danesi, yogurt per celiaci, zuppe vegane, salse messicane, caffè brasiliani e altra roba ancora, proveniente da posti del mondo dove avrebbe sempre desiderato recarsi.

Tutta quella libertà, ostentata, sconfinata, esuberante, persino inutile, lo faceva sentire più leggero. A volte si fermava per molto tempo ad esaminare i prodotti in scadenza. “Cosa ne faranno di tutto questo cibo appena sarà scaduto ?” si chiedeva Benito. Insaccati, formaggio, mozzarelle di bufala, che già il giorno dopo sarebbero diventate invendibili, dove sarebbero finiti ?. Benito immaginava che, nottetempo, arrivassero dei furgoni guidati da giovani volontari che poi avrebbero portato tutta questa roba ai bisognosi, preti con giubbini sportivi indossati sopra le tonache che, grati, ritiravano sacchi di cibo quasi scaduto per allestire grandi pranzi alle mense dei poveri. “E’ così che la nostra libertà di lasciare andare a male la roba, si traduce nella fortuna dei meno fortunati”.

Va senz’altro così” si convinceva, sollevato, mentre poggiava lentamente nel carrello buste di bocconcini che sarebbero andati a male tra due giorni, con un filo di senso di colpa per averla sottratta agli indigenti.

Quando arrivava nel settore delle bevande, Benito solitamente poggiava il suo carrello, già pieno, in un angolo e passava in rassegna lo scaffale dei vini con grande attenzione. Amava il vino, rosso. Inforcava quindi i suoi occhiali da presbite e leggeva con attenzione una decina di etichette, prima di scegliere la bottiglia giusta.

Se incontrava qualcuno, non era raro che Benito scambiasse qualche opinione sulla qualità del vino. Ma solo se si accorgeva di avere di fronte a sé qualcuno che ne capisse almeno quanto lui, altrimenti faceva subito cadere il discorso. Se aveva intenzione di mangiare il pesce che aveva selezionato al reparto surgelati, allora sceglieva anche una bottiglia di vino bianco, ma con meno entusiasmo.

I commessi che si accorgevano della presenza di Benito, gli regalavano sorrisi di benevolenza, vera o presunta. Qualcuno lo riconosceva dallo strisciare delle sue suole di gomma scura, sul pavimento lucido. Dal movimento, lento, del suo carrello tra gli scaffali.

Talvolta alcuni commessi segnalavano la sua presenza ad altri, attraverso una specie di passaparola sussurrato che consentiva, in breve tempo, di far sapere a tutto il personale che Benito era là, con il suo carrello della spesa. A quel punto tutti prestavano la massima attenzione ai movimenti e alle mosse di Benito. Non era escluso che, a volte, qualcuno finisse persino per seguirlo, avendo cura di non farsi notare.

Il giro al supermercato di Benito si concludeva sempre nel piccolo reparto cosmetici posizionato subito prima delle casse. Prendeva la sua schiuma da barba al mentolo, e i tradizionali rasoi a bilama, non era inconsueto che scegliesse anche un nuovo dopobarba, profumato, se poteva lo provava prima, però.

Questo accadeva da anni, ogni primo Lunedi del mese: il personale del supermercato aveva imparato a conoscere il signor Benito, forse qualcuno, dal fondo del cuore, gli voleva persino bene.

Finito il suo solito viaggio Benito parcheggiava il carrello in fondo, accanto al banco informazioni, ne traeva solo il pane e un cartone di latte e li poggiava sul nastro trasportatore dell’uscita. La donna alla cassa, sconsolata, afferrava prima il cartone in tetrapak da un litro e lo faceva scorrere sulla fotocellula, quindi faceva lo stesso con il pane. Si udivano i soliti due cicalii, prima che la cassiera spingesse il tasto del totale. Benito estraeva dalla tasca alcune monete e pagava.

I commessi seguivano i passi lenti di Benito mentre si allontanava dal supermercato. Chi non ricordava il suo nome lo chiamava solamente “il pensionato” o “il vecchio”, qualcuno preferiva rinforzare i concetti e diceva “il povero pensionato” o “il vecchio pazzo”. E intanto si davano di gomito, imprecando, oppure abbozzando un sorriso che era più una smorfia. Intanto Benito era già dall’altro lato della strada, la cassiera continuava a scuotere il capo e il giovane Alfredo stava già svuotando il carrello per rimettere tutto al proprio posto.

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