FORSENNATAMENTE VIVERE

E’ indiscutibile che la nostra vita possa essere legata a piccole, casuali e apparentemente impercettibili variabili, come ad esempio il movimento delle nuvole.

Fu proprio a causa di una di queste, densa, bassa e larghissima che gli abitanti di Kukoka, nella prefettura di Fukuoka, Giappone, il 9 agosto del 1945 scansarono lo sgancio di “Fat Man”, la seconda delle bombe atomiche, salvandosi la vita. Bomba che venne dirottata su Nakasaki, dove, nuovamente una nuvola, indusse il pilota a colpire la zona industriale, piuttosto che il centro. Un avvertimento così chiaro, quello dell’atomica, che spinse gli uomini a considerare, per la prima volta, che la loro estinzione fosse in qualche modo una possibilità all’interno di un processo di sviluppo.

D’altronde non si può escludere che le civiltà possano evolversi anche in direzione della propria fine.

Consapevolezza che, purtroppo, gli uomini sembrano aver smarrito. Nonostante sia evidente come i fenomeni, ambientali, climatici, energetici, siano destinati a diventare sempre più estremi.

Da qui la ricerca di un posto per continuare a vivere, al sicuro: in Tasmania, ad esempio.

E’ abbastanza a sud per sottrarsi alle temperature eccessive. Ha buone riserve di acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l’uomo. Non è troppo piccola ma è comunque un’isola, quindi più facile da difendere. Perché ci sarà da difendersi, mi creda”.

Con queste parole l’esperto di nuvole Novelli suggerisce l’isola a sud dell’Australia, “se fossi costretto a salvarmi”, al protagonista dell’ultimo libro di Paolo Giordano, “Tasmania” appunto.

Ma, fughiamo subito ogni dubbio, chi pensa di leggere questo libro per cercare un posto ideale dove vivere, si sbaglia di grosso. Nonostante Giordano indichi le modalità di ricerca e abbia sufficiente mestiere da truccare le carte, posizionando il protagonista, suo alter ego, in una posizione di assoluto vantaggio.

Quarantenne, non sposato, senza figli, convivente con una donna più grande madre di un figlio adolescente, e con un lavoro, quello di giornalista-scrittore, che gli consente di stare a lungo lontano da casa. Amico di preti irresoluti e di affascinanti giornaliste di guerra.

Le carte in regola, ovvero, per “sperimentare” come proprio la sua compagna lo invita a fare per uscire da una prevedibile crisi di coppia.

Una situazione ideale e dannatamente romantica, apprezzabile per un romanzo ma esile almeno quanto i rapporti d’amicizia e d’amore che il protagonista coltiva. Paracadute che possono, improvvisamente, non aprirsi mai più.

Ma siccome la felicità, è chiaro, non è aspettare che smetta di piovere ma imparare a ballarci attraverso, “Tasmania” ha la sincerità di non offrire soluzioni ma di confessare le migliori debolezze degli attori della generazione X: insicuri, incompleti, ansiosi.

Specie umana in perenne movimento e in pericolo di estinzione.

Per quanto tempo” si chiede il protagonista “avrei resistito come scrittore raccontando solo di ambizioni e di esperienze mancate? Per poter scrivere non bisognava prima di tutto forsennatamente vivere?”.

Già, forsennatamente vivere, potrebbe essere questo l’antidoto che tiene lontano ogni spettro?.

Paolo Giordano è oramai esperto: mostra di maneggiare il ritmo della storia senza tentennamenti. Apprende da Carrère la lezione del diario, genere letterario che però “inquina” mescolandoci elementi di fantasia. Lo tradisce il pudore o la deformazione del matematico che aspira all’equivalenza della formule, anche nella scrittura (la vita, si sa, è disperatamente, troppo, asimmetrica).

Se con “Tasmania”, Giordano, vincerà il suo secondo premio “Strega” (dopo “La solitudine dei numeri primi”, 2008) non sarà per la freddezza dei particolari scientifici né per la struggente descrizione delle cerimonie commemorative delle esplosioni atomiche (“E’ possibile, allora, che sotto forma di radiazione esistano ancora tutti i morti, tutti quelli del passato e tutti quelli del presente … e me?”, si chiede) ma per la sua brillante capacità di mostrarsi, al fine, come tutti noi, fatalmente fragile.

Dopo tutti gli anni di studio, l’incompetenza era proprio quello che cercavo, diventare finalmente un esperto di nulla”.

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