Non abbiamo fatto in tempo a digerire l’era dei social segnati dalla dittatura dell’amico che già siamo stati espugnati dalla tirannia dell’amichetto.
Sicchè oramai essere amico non basta più. L’amico è generico, distante, in alcuni casi addirittura sconosciuto, mentre l’amichetto è familiare, è parte del “cerchio magico”, fa popolo.
La definizione migliore l’ha trovata Fulvio Abbate che in un libellum pubblicato due anni fa (dal titolo appunto “L’amichettismo”), scrive: “L’amichettismo per definizione pretende un’adesione perenne, illimitata, quasi «ideologica», propria di un ricatto politico sentimentale, una dimensione pervasiva, quasi claustrale, soffocante, un patto di potere eterno. «Tu stai con noi, tu sei noi, gli altri solo brutta gente…»”.
Quarant’anni fa avevamo amichetti reclutati ai citofoni. Ora ci si recluta col gruppo whatsapp riservato dove alloggiano già altri amichetti, altrettanto fedeli.
Ma fuori dai convenevoli, gli accordi da amichetti veri, si sottoscrivono intorno a tavoli di noce nazionale, circondati da poltroncine in pelle, col codice penale sempre aperto di fianco (non si sa mai). Perché oggi un vero amichetto non è mai gratis, né di soldi né di sentimenti. Così l’amichetto si arruola nell’esercito del politichetto a cui giura l’amore, amore eterno che “se non è amore me ne andrò all’inferno”.
L’amichetto non ha ideologie (che parola orrenda!) non ha obblighi di coerenza, ha la schiena pieghevole, flessibile come il colore politico, l’importante è che arrivi l’incarico, il favore, l’onorificenza, la prebenda. Va bene anche l’incarichetto o il favoretto, si parte da un vezzeggiativo per raggiungere un maggiorativo.
L’amichetto è generoso, ama il prossimo suo come solo il suo conto corrente. Entra nelle gare dalle porte laterali e le vince tutte. Non teme la concorrenza: gli amichetti sono tutti liberali, però à la carte. Nel CV hanno la fedeltà che ha sostituito la competenza.
Che poi se c’è da organizzare, se lasci fare all’amichetto la serata si trasforma senza dubbio in “evento”.
Fuori dal giro dell’amichetto solo frustrati, invidiosi, nemici della patria, piantagrane e sparuti irriconoscenti. Dentro il cerchio solo geni, premi Nobel sfiorati, artisti illuminati, devoti terreni e celesti. Unti dal loro Signore e benedetti dalla Madonna della delibera. Esistono poi anche gli amichetti di confine. Che sprizzano simpatia. Che regalano sorrisi e innescano convivenze fuori dal cerchio, alcuni sono primatisti di salto del fosso, insospettabili come gli agenti provocatori.
Il patto non prevede interlocuzioni con l’esterno.
Nessun dubbio va assecondato, vale il principio della censura, specie scritta, per non manifestare imbarazzi grammaticali. Al massimo qualche “mi piace” o una faccina che ride. In casi estremi risponde l’A.A.S., l’adorante addetto stampa, perché ha il titolo di studio. Nelle rare esternazioni, l’amichetto rimane ambiguo: si professa buono, propenso al bene, puro, quasi ai confini con la Santità; amante della natura e delle citazioni colte (che copia e incolla per non correre il rischio di sbagliarle).
Allo sportello dell’amichettismo c’è spesso la fila. Perché l’amichettismo genera proseliti. Tutto sommato meglio stare dentro al cerchio che fuori: qualche briciola sotto al tavolo, come i piccioni, si può sempre raccogliere.
(P.S.: L’immagine di copertina è stata generata dall’AI – Grok)
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