Tutti gli architetti dovrebbero andare al cimitero il due di Novembre.
Anzi, sarebbe meglio che ci andassero non nella canonica commemorazione dei defunti perché in quell’occasione il camposanto è troppo affollato e difficilmente si possono cogliere le giuste indicazioni e le relative sfumature.
Converrebbe che ci facessero un salto il giorno dopo, o in qualsiasi altro giorno dell’anno, per apprezzare il repertorio spaziale dei loculi, la ricerca del particolare decorativo, l’uso attento dei volumi e l’attenzione verso il fattore ecologico. Questo per riuscire a rintracciare nell’architettura tombale gli stimoli dispersi, ritrovando elementi tecnici rimossi da troppi anni di pigra routine lavorativa.
E’ naturale, oggigiorno, chiedersi come mai per cotanta espressione compositiva non si debba ricorrere alla competenza di un professionista, considerato che nella realizzazione di ogni sepolcro ci sono tutte le componenti principali del mestiere dell’architetto.
Innanzitutto l’espressione architettonica della tomba, che sia singola o di famiglia, parte da una serie di vincoli ben precisi, che, è noto, sono una componente essenziale dell’architettura.
Il primo è la dimensione, sia in pianta che in elevato, alla quale l’architetto deve attenersi per non invadere i loculi laterali e non oscurare quelli adiacenti. Ovviamente ci sono tombe di uomini illustri che hanno ottenuto concessioni più generose in termini di volume, ma si tratta di incarichi che verrebbero assegnati sempre ai soliti raccomandati e sui quali non è il caso di soffermarci.
Il secondo vincolo riguarda la scelta del materiale: il marmo e la pietra vengono scelti, per delega ovviamente, dalla quasi totalità della committenza; ma esistono innumerevoli tipi di marmi e centinaia di varianti della pietra. Inoltre è fondamentale la scelta della qualità del materiale, la resistenza, lo spessore, la densità delle nervature oltre che, naturalmente, il colore.
E qui interviene un’altra questione molto spinosa che ogni bravo architetto sa di dover affrontare: il celeberrimo genius loci. L’architetto saprà porsi il problema su quale sia il modo corretto per integrare nuove tombe nel patrimonio già esistente, quanto potrà utilizzare un linguaggio d’avanguardia non solo in termini cromatici ma anche materici e se, infine, esistono tombe tradizionali per un certo paesaggio o no. Per non parlare dell’inserimento delle tombe moderne dei nuovi defunti tra i defunti antichi, tema sempre attuale nel dibattito dell’architettura delle aree storiche.
Tema nient’affatto irrilevante è pure quello del risparmio energetico: è fondamentale che l’architetto introduca nuove tecnologie per alimentare la luce perpetua, ad esempio dei piccoli pannelli solari sulla cima o un paio di pale eoliche alla base. Un architetto potrebbe inserire più adeguatamente anche lo standard destinato all’area “verde”, magari con la coltivazione di fiori in maniera autoctona, da avere quindi sempre freschi.
Solo un architetto è in grado di valutare bene l’opportunità di inserire il dettaglio didascalico in bassorilievo: la trota per il pescatore, il libro per la maestra, il compasso per l’ingegnere, senza scivolare nel kitsch. Ed ovviamente decidere sulla presenza e la dimensione di eventuali sculture di mezzibusti per presidenti di enti pubblici, sindaci, capifamiglia prestigiosi o boss della malavita.
Dal punto di vista del rapporto lavorativo l’architetto sarebbe molto lieto di accettare incarichi di questo tipo. Prima di tutto perché per la tomba non si bada a spese, dopo una vita di stenti trascorsa a rattoppare pavimenti con scarti di seconda scelta, solo da morti si sceglie di concedersi il lusso di una dimora decente, mettendo da parte una cifra appropriata. Quindi nessun problema di budget e di pagamenti. Inoltre il committente non sarà mai in grado di lamentarsi per eventuali difetti di costruzione (infiltrazioni, lesioni ecc.), anzi non se ne accorgerà nemmeno.
Nulla dovrà, ovviamente, variare sulla gestione amministrativa-burocratica del cimitero. E’ indispensabile che restino le procedure snelle e sbrigative attualmente in vigore. Nessuna commissione edilizia, sovrintendenza, ente parco e forestale. Nessun calcolo da depositare al Genio Civile, nemmeno in caso di tombe con sopraelevazioni o di mensole con lunghi sbalzi, e in caso di varianti in corso d’opera del progetto, nessun timore di un sopralluogo a sorpresa dei vigili, né di una visita dei carabinieri. Scongiurate le sanatorie, gli accertamenti di conformità, e i collaudi statici. Ed infine, ovviamente, nessun certificato di abitabilità, neanche in caso di sovraffollamento familiare.
Infine c’è il problema della planimetria del cimitero, dal punto di vista urbanistico chi decide la disposizione delle tombe, delle fontane per l’approvvigionamento dell’acqua e l’apertura di nuove strade ?. Ci vuole certamente un architetto, anzi, meglio ancora un team di architetti, che elabori un piano regolatore con relativa zonizzazione e preveda piani di recupero per le tombe da restaurare e nuovi insediamenti per i morti contemporanei. Per i più temerari, non è esclusa l’elaborazione di un piano del colore che incolonni tutte le tombe in travertino chiaro da un lato e quelle in rosso di Carrara da un altro. Infine piani particolareggiati per dettagli e rifiniture e della mobilità per lo spostamento delle ossa.
Dunque il cimitero è un perfetto banco di prova per l’architetto italiano del nuovo millennio, che sia classico o sperimentale, sereno o in crisi d’identità e serve una legge che obblighi a ricorrere all’architetto per la costruzione di qualsiasi tomba, loculo, edicola votiva o similare. Occorre che si muovano gli ordini professionali o qualche ministro, un sottosegretario ai lavori pubblici o ai beni culturali, va benissimo anche un senatore, prima che venga soppresso.
Il cimitero è la soluzione al problema lavorativo di migliaia di architetti italiani in difficoltà, nonostante gli inevitabili progressi della medicina moderna, i clienti non verrebbero mai a mancare, con un ricambio, direi naturale, delle committenze.
Ovviamente ci sarebbe sempre il solito inconveniente di dover lavorare, purtroppo gratis, per i parenti, ma finché non si lavora per sé stessi, sarebbe comunque un utile esercizio d’esperienza.
E’ un provvedimento che va richiesto con forza da tutta la categoria.
E’ al cimitero il futuro di ogni architetto.
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