Alcune invenzioni che si proponevano di migliorare l’esistenza degli esseri umani, l’hanno di molto peggiorata. I casi più eclatanti sono facebook ed il condominio.
L’architetto oramai desidera lavorare solo in posti isolati, ma, purtroppo, la maggior parte delle volte deve combattere contro l’arduo ostacolo del condominio.
Gli antichi romani avevano già compreso il concetto di condominio, ma erano come al solito troppo avanti perché non avevano ancora inventato gli edifici a più livelli, divisi in orizzontale. Ed ovviamente neanche le scale interne e figuriamoci l’ascensore. Dall’impero romano fino al primo codice civile del Regno d’Italia (1865), le controversie condominali, in assenza di regolamento, furono regolate attraverso civilissimi duelli condotti con armi da taglio prima e da fuoco poi. Per disaccordi istantanei si poteva ricorrere al primitivo metodo di “menare le mani”, applicazione della legge del “più forte” ancora in vigore in alcuni ambienti fortemente antropizzati, tipo la giungla.
Il condominio fu definitivamente istituito con l’emanazione del codice civile nel 1942, da quel momento la sua applicazione è cresciuta in maniera esponenziale con il boom edilizio del dopoguerra. Curiosamente il numero di condomini è aumentato insieme a quello degli architetti e degli avvocati, un dato che dovrebbe far riflettere.
Il condominio è per sua stessa natura uno scoglio durissimo per qualsiasi architetto.
Secondo una regola consolidata, qualsiasi cosa pensi di fare un architetto, soprattutto se riguarda le parti comuni, contrasta con almeno un paio di norme condominiali e se non ci contrasta, collide sicuramente con le idee di qualcuno degli abitanti del palazzo. Quando un architetto riceve un incarico all’interno di un condominio, la prima cosa che deve fare è informarsi sulla qualità dei condomini, sul loro grado di litigiosità e soprattutto sulla loro stabilità mentale.
Infatti, per quanto l’architetto possa fare lo “splendido” o atteggiarsi a simpatico ospite, il condominio odierà sempre l’architetto, percependolo come un intruso, tipo un geometra ad una mostra su Le Corbusier. Una delle migliori strategie per l’architetto è fare immediatamente amicizia con l’amministratore, cercandolo di corrompere in vari modi per arruolarlo come complice delle sue imprese ed eventualmente corrèo delle malefatte.
Tuttavia l’amministratore è in genere un uomo dotato di poteri diplomatici superiori, capace di tenere un piede anche in dodici scarpe diverse. Questo lo rende una creatura ambigua ed inaffidabile tipo una volpe nel pollaio. Spesso, prima di iniziare i lavori, l’architetto è costretto anche a sottoporsi ad una vile tortura, una prova di grande resistenza fisica e psicologica: l’assemblea di condominio. In tale circostanza l’architetto viene obbligato a spiegare il suo progetto ai presenti, in genere spalleggiato da un buon avvocato e, se lo ritiene necessario, da uno o più bodyguard. Talvolta a queste riunioni partecipano anche pseudo-tecnici che millantano conoscenze in tutti i campi, anche giuridiche, che pare strano non gli sia stato ancora assegnato un Nobel per qualche cosa. Gli architetti che escono incolumi da una riunione di condominio ricevono un onorificenza dall’ordine, alcuni vengono anche ricevuti dal papa in udienza privata, tipo il Dalai Lama.
Anche quando i lavori riguardano solo le parti interne di un appartamento, l’architetto dovrà battersi strenuamente contro il condominio. La prima questione che sorgerà sarà quella della produzione del rumore, la seconda sulla presenza di eventuali ponteggi, quindi le impronte di calce sui pianerottoli, l’uso dell’ascensore, la chiusura temporanea dell’acqua fino alle infinite discussioni sulle modalità del parcheggio del furgone della ditta nel cortile.
Alcuni architetti affiggono degli avvisi nell’androne, che invitano i condomini ad avere pazienza, scusandosi preventivamente per il disturbo arrecato. In genere questi avvisi vengono strappati nel giro di due giorni, in alcuni casi, condomini più creativi aggiungono con il pennarello frasi ingiuriose o disegni sconci diretti proprio all’architetto che di conseguenza o elimina il cartello o lo sostituisce con una versione ancora più accomodante.
Vi è un caso particolare: riguarda l’architetto che ristruttura la propria casa. In questo frangente, facendo parte anch’egli del condominio, l’architetto prima tende a giustificarsi poi, in genere dopo la terza settimana, si odia da solo.
Pur di vincere la sfida con il condominio, l’architetto è disposto pure a sottoporsi ad interminabili trattative; discussioni durante le quali è costretto a visionare decine di macchie d’umidità, lesioni strutturali, confini irrisolti e negoziati di millesimi, elargendo puntualmente consulenze gratuite, anche per iscritto.
All’interno di questa battaglia, ci sono anche architetti che mollano, non è un disonore; oppure disertano: passano nelle fila del nemico e decidono di diventare proprio amministratori di condominio.
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