Se l’architetto si butta in politica

Antonio_la_trippaIn tempo di elezioni amministrative, torna prepotente alla ribalta, il candidato architetto. La consultazione cittadina è infatti il terreno preferito dell’architetto che rappresenta sempre un opzione spendibile per i numerosi problemi delle nostre città: il traffico, le periferie, l’inquinamento eccetera. Ma, attenzione, se l’architetto si butta in politica, deve esserci per forza un motivo che non è certamente quello del bene pubblico. Per quello oramai non si candida più nessuno.

Ecco la classifica dei 10 architetti che si buttano in politica in ordine crescente di credibilità.

Al 10° posto: “L’inconsapevole” – E’ l’architetto reclutato all’ultimo momento dalla lista che non riesce a racimolare il numero minimo di componenti. Viene chiamato poche ore prima della scadenza dei termini da un caro amico che è già nella lista e al quale hanno dato il compito di trovarne almeno un altro come le catene di S. Antonio o gli abbonati Sky, altrimenti non se ne fa niente. Siccome la telefonata gli arriva alle tre di notte, lui acconsente senza aver capito bene di cosa si tratta. Ovviamente non viene eletto e nel caso lo fosse, si dimetterebbe il giorno dopo (credibilità politica,da ora c.p.: irrilevante)

Al 9° posto: “Il sognatore” – Si tratta di un architetto sognatore che raduna altri sognatori come lui: filosofi e artisti di strada, attori/cantanti, ingegneri bioclimatici, assistenti sociali e ex tossici e compone una lista civica apparentemente senza accordi politici, a volte si spinge a fondare persino un partito con simbolo e nome stravagante. Affronta la campagna elettorale con ottimismo decrescente, parte con grandi proclami tipo “rifiuti zero”, “inquinamento zero”. “traffico zero”, “tolleranza zero”, ai quali crede solo lui e i suoi soci. Verso la fine della campagna elettorale ha due opzioni: o si ritira o si accorda con un grande partito che apre centrali nucleari in campagna e costruisce parcheggi multipiano nel centro storico. Se, casualmente, è eletto viene emarginato immediatamente (c.p.: marginale).

All’8 posto: “il traffichino” : Molto diffuso specie nei piccoli centri, questa specie di architetto è specializzata in lavori edilizi di piccolo cabotaggio dove è sempre indispensabile che almeno un occhio sia ben chiuso. Il suo ruolo politico è nel creare agganci per sé stesso, tali da poterne beneficiare sotto forma di soste in divieto per carichi e scarichi merci, pareri sanitari rapidi, soffiate su eventuali sopralluoghi dei vigili, ponteggi su aree pubbliche a canoni agevolati o nulli e così via. Nel caso lo schieramento politico del “traffichino” poi vinca e lui risulti determinante, può chiedere anche di aggiudicarsi gare di appalto per piccoli lavori pubblici ad alto rendimento (c.p.: modesta).

Al 7° posto: “L’esperto” : Viene impiegato in liste elettorali che si concentrano parecchio su un problema specifico, ad esempio il recupero di vecchi stabili, l’urbanizzazione di ettari di terreni incolti o la realizzazione di qualche grande opera. A questo architetto va il compito di garantire l’arrivo di fondi europei, regionali e comunitari, reperendoli nel modo che meglio ritiene valido. Altri tipi di architetti esperti vengono spesi in campagne elettorali per temi paesaggisticamente sensibili, come il ripascimento di un litorale, lo smaltimento di tonnellate di monnezza o la riconversione di fabbriche abbandonate. Spesso vanno in tv per tenere buoni i vegani e gli ambientalisti, ai quali snocciola dati sulla qualità dell’aria e promette la realizzazione di oasi tipo Central park. Nella maggior parte dei casi si tratta di impegni assolutamente impossibili, che però provocano molto stupore e vengono benissimo nei render dei manifesti elettorali (c.p.: da valutare).

Al 6° posto: “L’ambizioso” – Entra in campo di solito con molti mesi di anticipo, sbandierando grandi iniziative anche con intenti benefici, ovviamente finti. Si vanta di aver trasformato, con la sola forza del suo ingegno e il sudore della sua fronte, modeste cittadine (quasi sempre all’estero) in meravigliosi centri turistici e/o attrattori culturali e di volersi ora mettere al servizio del paese. Elegantissimo, raffinato nei modi e generoso nell’approccio, affronta la campagna elettorale legandosi sempre al favorito dai sondaggi, offrendo migliaia di caffè e stringendo milioni di mani. Fa affiggere un numero esagerato di manifesti da dove sorride avendo cura di mostrare un Rolex da 80000 euro al polso; ovviamente si tratta di manifesti tutti abusivi, incollati con sichozell potentissima che imbratteranno tutti i muri della città per i prossimi 10 anni. Sparisce il giorno dopo le elezioni per ricomparire, se gli va bene, su un cantiere per un appalto a 7 zeri (decimali esclusi), sempre elegantissimo (c.p.: soprastimata).

Al 5° posto: “il costretto” – Spesso questo tipo di architetto farebbe volentieri a meno di scendere in politica, ma non può, altrimenti tutta una serie di suoi progetti e lavori in corso potrebbero improvvisamente fermarsi o avere dei problemi. A volte si ritrova in mezzo perché in forte debito con influenti politici ai quali non può proprio dire di no. A quel punto si fa anima e coraggio e intraprende una sofferta campagna elettorale. Innanzitutto stampa un blocchetto di santini elettorali che lascia in tutti i bar, quindi raduna amici e colleghi presso il suo studio diventato magicamente sede del comitato elettorale. Grazie ad un grosso quantitativo di amici, parenti e clienti rappresenta una valida alternativa elettorale per liste in difficoltà con lo sbarramento. In realtà lui odia la politica, ma ogni cinque anni gli tocca, ha una famiglia da mantenere: l’alternativa sarebbe la disoccupazione. (c.p.: dolorante)

Al 4° posto: “L’uomo del fare” – In ogni lista che si rispetti ci vuole una figura che rappresenti il classico uomo che si è fatto tutto da solo, partendo dal basso senza l’aiuto di nessuno, tipo un Berlusconi dei poveri. La sua storia fatta di sacrifici e sveglie all’alba per scaricare le cassette di frutta al mercato prima di andare a scuola, fa sempre molta presa sull’elettorato che lo vede come una specie di salvatore della patria. Ai comizi si presenta impolverato e stanco, vestito da cantiere con le scarpe antinfortunistica, ma non si capisce mai se si tratta di realtà o è un costume di scena. Grazie a queste caratteristiche, l’architetto “del fare” viene percepito dal popolo come un proprio rappresentante, che, se eletto, si occuperà dei poveri e degli emarginati, che rattopperà i marciapiedi e darà la casa agli sfollati. In verità una volta eletto non avrà il tempo per fare tutto questo, perché dovrà prima di tutto tornare ad occuparsi di lui (c.p.: tangibile).

Al 3° posto: “il luminare” – Va fortissimo anche l’architetto titolato, di solito anziano, spesso professore universitario o scrittore o filosofo o tutte e tre le cose insieme, che, magari in pensione, si fa convincere a fare politica tra la gente. In genere lui ci prova sollevando grandi temi sociali, teorie altissime sul consumo di suolo o sul concetto di città-giardino. A volte viene persino impiegato per dare spessore a scelte inconsulte sui piani regolatori o sull’alienazione di beni pubblici. Se eletto finisce sempre con litigare con i soliti quattro ignoranti che contestano davanti al bar, che non sanno neanche la differenza tra perequazione e zooning. Di solito abbandona dopo poche settimane, se insiste, si ammala di cuore e muore poco dopo (c.p.: indecifrabile).

Al 2° posto: “L’agganciato” – Non manca mai ad ogni elezione l’architetto che conosce tutti. Dall’alto dei suoi minimo 25/30 anni di professione ha una rubrica telefonica che neanche Gianni Minà e Bruno Vespa messi insieme. Per lui l’intralcio burocratico non esiste, ricopre cariche presidenziali di enti pubblici, ordini professionali, commissioni edilizie, aziende dei trasporti e tutte contemporaneamente. Se c’è da oliare un meccanismo, approvare pale eoliche in parchi archeologici, pozzi petroliferi in riva al mare o piani casa su misura, lui c’è. Con cinque whatsup è capace di convocare una conferenza di servizi per il giorno dopo, con un paio di telefonate arriva al consiglio dei ministri e si fa passare direttamente il ministro in persona. Non esercita più la vile professione di architetto perché è troppo in alto e non può più sporcarsi le mani, al massimo fornisce consulenze che si fa pagare a peso d’oro (c.p.: stimabile).

Al 1° posto: “il professionista” – E’ un architetto (ma forse solo dottore in architettura) che non ha fatto l’architetto neanche un giorno nella sua vita, a volte non ci si spiega neanche come abbia fatto a laurearsi perché già a 15 anni faceva i comizi al liceo e aizzava le folle. Oggi non saprebbe riconoscere  neanche tra un profilo IPE da uno HE. Oramai ci si ricorda che è anche architetto solo perché è scritto sulla carta d’identità o sui curriculum ufficiali. Il suo titolo di studio viene talvolta esibito per dare credibilità alle inaugurazioni delle rotatorie o dei quartieri modello di qualcosa. In virtù della sua nobile dialettica e i suoi natali prestigiosi, ha scalato in fretta la gerarchia del partito, fino ad arrivare minimo al ruolo di assessore, ma il suo traguardo naturale è la poltrona di sindaco. E’ condannato a candidarsi per tutta la vita perché altrimenti non saprebbe cosa fare (c.p.: autorevole)

TWITTER: @chrideiuliis

Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti o esistite, candidabili o candidate, è puramente casuale.

 

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