QUELLO CHE RESTA DI GOMORRA (A MINORI)

salvatore conteIn tempi dove conta solo l’apparenza, le immagini di Minori, sulla costa amalfitana, in una puntata del serial Gomorra, hanno reso orgogliosi molti minoresi, decine dei quali si sono prestati come comparse durante le riprese. I primi frame dell’episodio che si apre con una splendida vista di Minori stridono terribilmente con le panoramiche delle “Vele” di Scampia dove sono stati girati gran parte degli esterni della puntata. Gomorra è probabilmente la serie televisiva italiana che ha avuto e sta avendo il più ampio successo internazionale, tradotto e venduto in numerosi paesi, esporterà l’immagine di Minori fino in Sudamerica, dando popolarità ad alcuni scorci del paese come l’immagine cartolina di Torre Paradiso o la piazza dinanzi alla basilica.

Proprio circa l’utilizzo della basilica di S. Trofimena come luogo nel quale viene ucciso il boss Salvatore Conte, vi furono alcune polemiche. La curia negò l’uso della sacrestia, per questo motivo gli interni sono stati girati in un’altra chiesa, chissà dove.

Da quando, Martedi scorso, questo terzo episodio (della seconda seria) di Gomorra è andato in onda, i social network sono stati invasi da fotogrammi tratti dalla puntata, con manifestazioni  sia di entusiasmo (la maggior parte) che di deplorazione.

Se solo facessimo uno sforzo in più, cercando di superare il fascino delle immagini patinate, in alcuni casi innegabile come nelle riprese aeree della processione dei battenti, potremmo fare una riflessione sul messaggio che veicola un prodotto come Gomorra e di cosa resta nella memoria collettiva dopo il passaggio di Minori nella serie.

In primo luogo va ribadito che la serialità della fiction, a differenza del prodotto unico, è sempre più pericolosa, perché la ripetizione genera spirito di emulazione, crea falsi miti e si imprime nella mente con maggiore efficacia. I modi di dire dei camorristi, insieme alle loro pettinature, gli atteggiamenti e le consuetudini, fanno breccia nelle menti più fragili che dal punto di vista culturale non hanno le difese immunitarie sufficienti per distinguere la finzione dalla dimensione reale.

In modo particolare la puntata dove compare Minori contiene un repertorio completo di tutti i peggiori esempi somministrabili. L’uso strumentale della religione (il boss che fa assumere alla Madonna le sembianze della sua amante), il disprezzo diffuso per la legalità e lo scherno nei confronti della chiesa (le moto che umiliano il corteo “no droga” organizzato dal parroco),  la scorciatoia della droga, nascosta nelle statue della Madonna, per diventare ricchi e potenti, il plauso ad un giovane delinquente capace di tagliare la cocaina con particolare maestria, la componente omofoba che si manifesta attraverso una scena di particolare volgarità. Ed infine, particolare ancora più sgradevole perché coinvolge un aspetto caratteristico del nostro paese, la distanza enorme tra la sacralità del rito e il vero coinvolgimento emotivo dei partecipanti. La nostra processione del Venerdi Santo, peraltro arricchita da un elemento simbolico quanto pittoresco (il cuscino di aghi con il quale i penitenti si battono il petto) assolutamente estraneo alla nostra tradizione, che diviene sia scenografia folcloristica che preambolo di un efferato omicidio. Inoltre, nella dinamica della storia, poco conta che l’interno dove si svolge l’omicidio, non sia effettivamente la basilica di S. Trofimena, questo dettaglio è distinguibile solo da chi conosce bene i luoghi, per tutti gli altri l’omicidio del boss Conte avviene all’interno di quella chiesa dalla quale, prima lui stesso e poi l’intera processione esce. In questo caso le regole dell’apparenza sono molto più efficaci della semplice questione simbolica, che appare quasi pretestuosa.

Non sappiamo ancora se vi sarà un ritorno di immagine, magari persino turistico, a seguito di questo passaggio televisivo. Non è noto neppure se prima di acconsentire che Minori finisse in una storia ambientata in gran parte in un’area di Napoli simbolo della delinquenza e del degrado sociale, qualcuno abbia letto con attenzione la sceneggiatura o formulato qualche richiesta specifica. Forse sarebbe il caso che qualcuno, almeno, dicesse se in termini economici, è stato restituito o no qualcosa al paese, da destinare ad iniziative di natura sociale.

Ciò che è certo, almeno per quanto mi riguarda, è questa incertezza, l’inquietudine e la perplessità che rimane dentro, nel chiedersi se ve ne fosse proprio la necessità. Non si pretende che la televisione fornisca buoni esempi, tuttavia se non si è capace di mostrare esempi virtuosi ci vorrebbe maggiore responsabilità nel selezionare e filtrare quelli dissoluti, specie nei confronti delle nuove generazioni, così incerte, così fragili. Domandarsi se Gomorra fosse il veicolo migliore, l’ambito più adeguato per trasmettere l’immagine della nostra cittadina nel mondo. Se chi decide, abbia rinunciato alla promozione delle eccellenze e si sia piegato alla logica della popolarità e che quindi la sorte della costa d’Amalfi sia quella di passare da Sciuscià a Gomorra, da Anna Magnani a Salvatore Conte, senza battere ciglio.

Rimane il dubbio che la responsabilità sia nelle mani di chi non abbia lo spessore culturale, anch’egli, di distinguere il finto dal vero, l’essenziale dal fatuo, la popolarità dal significato delle cose.

Che, oramai, come dice proprio il boss: “abbiamo dato la lanterna in mano ai ciechi”.

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1 Comment QUELLO CHE RESTA DI GOMORRA (A MINORI)

  1. Gerardo 21 Maggio 2016 at 21:37

    Completamente d’accordo con Cristian!!

    Reply

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