QUANDO VIVIANA SUONO’ CHOPIN

THELOVERViviana, il giorno del suo 45esimo compleanno ripensò alla hall dell’hotel Graal e a quella sera di Agosto del 1997. Fu per caso, rimettendo in ordine un cassetto della scrivania; quelle operazioni che, talvolta, si fanno quando si compiono gli anni, ovvero quando si prova a sistemare porzioni del proprio passato, anche se in realtà al massimo al passato puoi dare una rispolverata se decidi di conservarlo, oppure, in alternativa, buttarlo via.

Viviana ritrovò una brochure di quell’hotel, in copertina la grande finestra della hall con vista sulla valle ed il mare, ma anche con il profilo delle colline in lontananza. Seduta sul pavimento della camera da letto rivide l’istantanea di una sera che aveva quasi rimosso.

Come alcune immagini rimangano custodite in un angolo della nostra memoria è un mistero. Eppure da quell’Agosto del 1997 erano passati già quasi vent’anni, quanti strati di nuove immagini, viaggi, alberghi e panorami si erano depositati sopra, ma nonostante questo, da uno scompartimento misterioso dei suoi ricordi, Viviana trasse quel momento sepolto.

Era in costa da una settimana e due giorni dopo sarebbe dovuta ripartire per la città. Viviana fu ospite di Sara, si erano conosciute un anno prima ad un concerto di musica classica ed erano immediatamente diventate amiche. Ma quella settimana gli amici di Sara erano diventati amici di Viviana, condivisero i posti, le spiagge, il cinema all’aperto, la pizza e la birra sul muretto. Viviana quell’estate si era diplomata in pianoforte suonando l’opera numero 4 di Johannes Brahms, uno “scherzo” nel gergo musicale e una sonata di Liszt in si minore.

Ma la vera passione di Viviana erano i valzer di Chopin. Alcuni di questi li conosceva così bene che poteva suonarli a memoria, senza guardare nessuno spartito.

Quella sera Sara portò Viviana all’hotel Graal, là avrebbe dovuto incontrare degli amici o aspettare che iniziasse qualche concerto nella villa poco distante, ecco, questo dettaglio Viviana non riusciva a ricordarselo. La hall aveva un pavimento lucido in ceramica blu, con grandi lastroni che riflettevano la luce degli enormi lampadari. Larghi divani bianchi erano disposti intorno, in un angolo il bar, con la sua macchina del caffè troppo piccola, quasi scompariva. Disposto verso il centro dell’enorme sala, un pianoforte a coda in legno scuro. Sara chiese a Viviana di aspettarla là e sparì verso le camere. Viviana si guardò intorno, a quell’ora una decina di persone entravano ed uscivano dal salone, alcuni sedevano sui divani leggendo un quotidiano, altri in piedi guardavano l’orizzonte dalla grande finestra. Degli stranieri con delle voluminose valigie, aspettavano, probabilmente un taxi.

Viviana si ricordò di quella sensazione di enorme spazio vuoto; sentì la stessa meraviglia penetrargli come un coltello nella pancia, riempirle lo stomaco come un liquido denso riempirebbe una borsa dell’acqua calda. Ripensò al momento in cui decise di fare il primo passo, il peso di quel primo movimento, liberarsi di quell’imbarazzo ed andare.

Viviana raggiunse il grande pianoforte, si sedette sullo sgabello nero in pelle, e ci poggiò sopra le mani. Aveva tasti leggerissimi e lisci. Provò a fare qualche nota leggera, come se davvero si potesse suonare senza suonare, senza farsi sentire. Poi partì con l’opera 64, il valzer numero 10 in si minore, di Chopin, ovviamente.

Viviana amava quel valzer dal giorno in cui aveva visto al cinema “The lover”, il film francese tratto dal romanzo di Marguerite Duras, e lei si era innamorata del personaggio della quindicenne Jane March, che nel film è semplicemente “la ragazza”, del suo cappello da uomo e dei suoi tacchi troppo alti per un adolescente. E Viviana, allora al primo anno di conservatorio, aveva deciso che avrebbe imparato a suonare quel brano che si sente in sottofondo nella scena finale, sulla partenza del battello, suonato dalle viscere della nave.

Dopo lo stupore e l’arpeggio incessante della prima parte malinconica, Viviana non ricorda più bene quello che accadde. Rammenta di aver proseguito e di aver suonato l’intero valzer e che, circa alla metà della composizione, durante il secondo movimento, quello mosso, aver notato un profondo silenzio intorno a lei, e allora aveva immaginato di trovarsi in un teatro davanti a centinaia di persone che la ascoltavano. Quello che, probabilmente, a quel tempo, era un suo sogno ricorrente.

E dopo quasi vent’anni si ricordava di aver pensato, proprio in quel momento, che tutto il mondo intorno fosse scomparso. Che non ci fosse più il pavimento blu mare, i divani bianchi e il bar con la macchina del caffè insufficiente. Che gli stranieri con le loro valigie fossero partiti e che nessuno potesse leggere un banale giornale mentre lei suonava Chopin. Viviana credette di essere rimasta sola, sospesa per aria con il suo pianoforte dai tasti leggerissimi e la finestra sul panorama.

Fu allora che fissò il soggiorno della sua casa di città, il vecchio pianoforte a muro che non suonava più da anni, chiuso a chiave e sommerso da soprammobili di cerimonie indistinguibili. Ma sorrise, ritenne quel momento all’hotel Graal uno degli episodi più felici della sua vita. Erano il ricordo e la distanza del tempo, che gli e lo riconsegnavano così.

Si sollevò dal pavimento, riaprì il coperchio del piano. Provò a ricordare l’attacco di quel valzer, la parte con la mano sinistra che lei aveva ripassato migliaia di volte. E il finale che lei tendeva ad accelerare, ma non doveva. Come ogni finale, di qualsiasi cosa, che non si vuole sciupare.

Questa storia di Viviana, me l’ha raccontata Sara qualche anno dopo. Anche io conobbi Viviana quell’estate di molti anni fa, ma purtroppo quella sera non c’ero. Sara mi raccontò di averla lasciata sola cinque minuti al massimo. E di averla trovata al piano a suonare Chopin tra gli ospiti che la guardavano meravigliati. E che quando aveva terminato di suonare tutti avevano applaudito mentre una lacrima le rigava il viso.

Come mai una lacrima ?” chiesi a Sara.

Viviana era molto triste in quei giorni

Amore ?” domandai.

Amore”.

E infatti Jane March, nella scena finale de “L’Amante”, piange, mentre il battello si allontana sul fiume.

Ma Viviana questa tristezza l’aveva dimenticata.

 

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