CASA ROSSA

Per me Casa Rossa è sempre, e solo, stato il posto delle gite del lunedì di Pasqua.

Polverosa, umida, col forno per le pizze, le damigiane in cantina, la cassapanca con le carte del nonno da dove una volta vedemmo scappare un topino, la bottiglia d’olio e il pacco di sale lasciati dall’anno prima, le scritte sui muri, i souvenir, gli attrezzi da giardino, le porte in legno difficili da aprire e complicate da chiudere. E ogni anno qualcosa in più da aggiustare, con i ciuffi d’erba selvatica che si allungavano dalle crepe e quell’odore di campagna e di chiuso.

Era il posto delle nostre foto sul terrazzo, seduti sulla panca intorno al tavolo in pietra, sullo sfondo sempre il mare e la fila di auto lungo la salita, incolonnate nel traffico.

Quando abbiamo iniziato i lavori a Casa Rossa ho pensato alla nostra adolescenza e ai ricordi. Quanto occorra, ricostruendo un luogo, realmente custodirne la memoria. Se, crescendo, si possa fare, volontariamente, una selezione delle immagini e degli amici, delle scritte sui muri e dei souvenir. O che non sia semplicemente il tempo a decidere. Che, anche se non torna indietro e neanche si ferma, in questo posto sembra andare più lento.

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