IL MIO AMICO RICCARDO E “QUELLA COSA”

renault4cv3bk5.9789Il mio amico Riccardo è scomparso l’altroieri all’età di 86 anni. Di questi, gli ultimi 60 li ha trascorsi “in attesa”. Aspettava, infatti, che gli arrivasse “quella cosa” dal 26 Luglio del 1956; quel giorno Riccardo era atteso per le 11 in aula “M” di facoltà per la seduta di laurea. Era così nervoso che lasciò parcheggiata la sua Renault 4 cv proprio dinanzi all’ingresso del comando dei vigili. Così che quando uscì, ci trovò sopra, tra il lunotto ed il tergicristallo, una multa da 5 lire.

Premetto che Riccardo è sempre stata una persona estremamente precisa e ligia alle regole, anche troppo. Orgoglioso e sincero, con una vera ossessione per la legalità e grande attenzione per la sua reputazione. Questo anche prima di quel giorno.

Rintracciata la multa, Riccardo rimase per qualche secondo perplesso, come aveva potuto lasciare l’auto proprio in quel posto, a pochi metri da un cartello enorme di divieto di sosta ?. Si guardò in giro per cercare un vigile nelle vicinanze e magari pagare immediatamente la multa, ma non vide nessuno. Erano da poco passate le due del pomeriggio, la città era deserta e torrida come nelle più infuocate delle estati. Siccome era impaziente di comunicare la notizia della laurea ai suoi familiari, ripiegò la multa e se la infilò nella tasca dei pantaloni. Quella sera stessa Riccardo partecipò ad una grande festa in una villa su una collina della città, dove, a mezzanotte, fu spinto in piscina completamente vestito. Riemerso, recuperò dalla tasca posteriore dei pantaloni la multa fradicia e ovviamente illeggibile.

Il giorno dopo il neo laureato Riccardo, neoarchitetto ventiseienne di ottime speranze, si recò dai vigili per poter saldare il conto della multa. Diede le sue generalità e quelle dell’autovettura, estrasse dal portafoglio ciò che restava della multa che per tutta la mattina aveva tentato di asciugare al sole, ma sul piccolo foglio non era rimasta nessuna traccia visibile. Al comando fecero delle ricerche senza successo: il vigile che gli aveva impartito il verbale era appena partito per le ferie e sarebbe rientrato solo dopo venti giorni.

Riccardo si mise l’anima in pace, anche lui partì per le vacanze, quell’anno visitò la Spagna e appena rientrato, tornò dai vigili intenzionato a saldare il suo debito. L’agente Bonetti, quello che gli aveva inflitto la contravvenzione, però era stato sospeso dal servizio perché sorpreso a rubare dagli armadietti dello spogliatoio. Riccardo girò vari uffici, ma nessuno riuscì ad aiutarlo. Chiese anche se poteva pagare comunque le 5 lire in maniera generica, ma gli fu risposto che era tutto inutile perché i termini per pagare la multa erano scaduti e quindi, probabilmente, era stata spedita al comando centrale che si trovava nella capitale.

Per qualche giorno Riccardo pensò di lasciar perdere, certamente la multa era stata smarrita o archiviata. Tuttavia volle fare ancora un tentativo: prese il treno e si recò fino alla capitale per cercare di pagare la multa. In quei giorni al comando centrale stavano effettuando il trasloco e trovò tantissima confusione, girò decine di uffici ma nessuno riuscì ad aiutarlo; solo un impiegato in divisa lo tirò da parte e gli disse: “stia tranquillo, tramite il numero di targa dell’auto la rintracceranno e quella cosa le arriverà a casa”. Riccardo si sentì solo per un attimo sollevato, poi gli venne in mente di fare una domanda: “ma ci saranno interessi da pagare ?”, “bhè certo” rispose l’impiegato, “più tempo passa e più alti saranno gli interessi su quella cosa”.

Riccardo registrò queste parole alle quali non smise di pensare un attimo per tutto il viaggio di ritorno e poi ancora il giorno dopo. E per tutto l’Autunno successivo. Prese l’abitudine ogni giorno di controllare la cassetta della posta, due volte, per cercare “quella cosa”. Tutte le volte che gli giungeva una raccomandata sperava si trattasse della multa, o di una convocazione dai vigili, dai quali periodicamente si recava a chiedere spiegazioni.

Intanto cominciò a mettere da parte qualche soldo per pagare “quella cosa”, stimando gli interessi annessi.

Dopo qualche anno, quando Manuela, la sua fidanzata, chiese di sposarlo lui rispose che non era il momento perché avevano pochi soldi, in realtà era preoccupato che gli arrivasse la multa proprio mentre spendeva tutti i suoi risparmi per la cerimonia. Riccardo e Manuela erano tanto innamorati, ma da allora le cose cominciarono ad andare male tra di loro, lei ferita dal rifiuto, non lo perdonò mai, infine lo lasciò e si mise con un carabiniere.

Riccardo rimase solo e con poco lavoro. Più volte aveva dovuto rinunciare ad aprire uno studio tutto suo, si sarebbe trattato di un investimento importante per il quale avrebbe dovuto anche chiedere un prestito, ma lui aveva sempre paura che arrivasse “quella cosa” con gli interessi, figuriamoci se poteva persino indebitarsi. Altre volte alcuni suoi colleghi gli avevano chiesto di entrare in con loro in società, ma avrebbe dovuto partecipare alle spese e non se la sentì. Evitò di andare in vacanza molte volte perché gli sembravano spese eccessive, non comprò mai la moto che desiderava da anni, smise di frequentare i ristoranti migliori, solo trattorie economiche. A volte, di mattina, preferiva rimanere in casa, sperando che fosse il giorno giusto per l’arrivo di “quella cosa”. Nel 1970 Riccardo sposò Marta, e due anni dopo comprò casa, ma per evitare un eventuale pignoramento per colpa degli interessi di “quella cosa”, la intestò completamente alla moglie. Dopo il referendum confermativo sul divorzio, nel 1974 , Marta lasciò Riccardo per un avvocato svizzero, si tenne la casa e anche l’auto che Riccardo le aveva regalato per lo stesso motivo di cui sopra.

Riccardo fittò un monolocale al piano terra, e si trasferì là. Visse una vita modesta, senza eccessi, sempre in attesa, sempre rimandando ogni decisione importante a dopo l’arrivo di “quella cosa”. E non solo per una questione economica, ma anche psicologica; “quando avrò pagato quella cosa” pensava “sarò finalmente tranquillo (a volte sostituiva la parola tranquillo con felice, addirittura) e potrò fare tutte le cose con serenità”. In realtà non fu mai davvero felice perché era sempre in attesa che accadesse ciò che attendeva, non si risposò e non ebbe neanche figli nel timore che le conseguenze di “quella cosa” ricadessero sugli eredi. Ebbe un rapporto con il tempo disgraziato e controverso. Spesso si immaginava nella pagina di cronaca locale, con una foto venuta male con sopra un gran titolo del tipo: “noto architetto sul lastrico per non aver pagato una multa“, e di conseguenza tutti i commenti dei parenti e amici. Sarebbe stato additato come un irresponsabile, un furbetto delle multe, un illegale clandestino. Anni ed anni di onorata carriera, bruciati in un attimo. E senza possibilità di redenzione.

Fu architetto fino al 1995, quando andò in pensione; nel frattempo la stazione della polizia locale si era trasferita a pochi metri da casa sua, una volta a settimana andava a chiedere se c’era qualche comunicazione per lui dal comando centrale; divenne amico di tutti i vigili, postini e ufficiali giudiziari che si succedettero nella zona. Dalla nascita di Equitalia, nel 2006, viveva nel panico, spesso mi raccontava di svegliarsi in preda agli incubi: un addetto alle riscossioni bussava alla sua porta notificandogli “quella cosa” con un interesse mostruoso. Secondo i suoi calcoli, con i tassi vigenti, avrebbe dovuto pagare circa 4 milioni di euro.

In fondo Riccardo ha vissuto aspettando, come tutti noi, “quella cosa” che non è mai accaduta.

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