IL CORAGGIO DI SBAGLIARE

io e Fabri“Bisogna avere il coraggio di sbagliare” scrive Luigi Prestinenza Puglisi, noto critico d’architettura, sulla sua pagina FB. “Quando sostengo” continua, “che ci vuole più coraggio a intervenire nei tessuti esistenti specie se storici, c’è sempre qualcuno che mi dice: E se si sbaglia? La risposta è: Bisogna avere il coraggio di sbagliare ma cercando ogni volta di fare il meglio. E poi: Bisogna avere il coraggio che anche gli sbagli non siano irreversibili, possano anche loro essere demoliti”.

Periodicamente riguardo, grazie a youtube posso farlo quando voglio, una scena del film “Da zero a dieci”, pellicola che ricorda l’attentato alla stazione di Bologna, attraverso la vicenda di quattro quarantenni che, vent’anni dopo, ripartono da quei binari per rivivere, sulla costa adriatica, quel weekend che non ebbero mai. E in quei giorni provano a dare un voto alla loro vita. Da zero a dieci, appunto. Ad un certo punto del cammino, può capitare di pesarsi la vita.

La scena che mi piace riguardare è quella nella quale i protagonisti cantano  “Libera uscita” che riassume il pensiero di una generazione. E’ una canzone del regista del film, Luciano Ligabue.

Ad un certo punto dice:

“E non ci prendono vecchie balle nemmeno nuove nostalgie

ci hanno promesso un grande futuro

e poi ce l’han tolto, c’han detto -scusate-… e così sia”

La questione del coraggio di sbagliare per la nostra generazione non ha funzionato. Nessuno ci hai dato l’opportunità di sbagliare e neppure la possibilità di dimostrare il nostro coraggio. Ci avevano illuso con grandi speranze che, poco per volta, si sono allontanate, come se il futuro non arrivasse mai.

“E non ci prendono sul serio, d’altronde non l’han fatto mai” , è vero, è stato così.

Poi sono arrivati i quarant’anni e i giovani alle nostre spalle hanno cominciato a spingere. Non vale solo per l’architettura e gli architetti, vale per tanti come noi. Vorremo tanto provare, sbagliare, correggerci; vorremmo ancora il tempo per fare tutto. Intervenire nell’esistente, siano città o vite delle persone, non è mai stato facile. E non sempre, come negli edifici, ci si può liberare dal peso demolendo l’involucro. Se la materia sparisce, qualcosa rimane. Le macerie, restano, resta il rumore del crollo, la polvere, fotografie scattate con troppa fretta, con troppa fiducia.

Amo il concetto di “Libera uscita”. Di questa anarchica voglia di osare che in fondo non ci è mai mancata. Questa imprevedibilità, questa voglia di sorprendere e di sognare. Noi che, pur sostanzialmente sconfitti: “abbiamo deciso che crederci ancora non sia una brutta malattia”

Scritto oggi, due di Agosto, a trentaquattro anni precisi dalla strage di Bologna e ad 8 da quando il mio amico Fabrizio se n’è andato via.

Lui, l’architetto più sognatore che io abbia mai conosciuto.

 

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