Anselmo e la pizza (margherita con prosciutto cotto)

cottoSe qualcuno inventasse il concorso per l’uomo più abitudinario del pianeta, Anselmo avrebbe sicuramente  ottime chance di vincere il primo premio.

Ma Anselmo non era stato sempre così, all’età di vent’anni si era ritagliato un anno sabbatico all’università, facoltà di lettere, e aveva fatto un lungo giro del mondo, arrivando fino in Nuova Zelanda, dove raccontava di aver imparato ad andare in barca a vela. Tornato a casa, si era messo seriamente a studiare e aveva conosciuto Roberta di tre anni più piccola; dopo la laurea aveva cominciato a lavorare in biblioteca, ma ogni estate, insieme alla sua compagna, si concedeva un viaggio sempre piuttosto inconsueto. L’ultima volta erano sulle coste della Normandia.

Quando Anselmo venne assunto come archivista alla biblioteca, all’età di 32 anni, aveva chiesto a Roberta di sposarlo, fu a quel punto che lei lo lasciò. Da quel giorno, ovvero dal 20 Ottobre del 1999, Anselmo cambiò radicalmente modo di fare, divenne rabbioso e triste. Prese a lamentarsi per qualsiasi cosa: il tempo, il traffico, la paytv ecc, diventando lentamente, forse per autodifesa, forse pigrizia, la persona più abitudinaria del mondo.

Si svegliava sempre alla solita ora, usciva di casa puntuale alle 8.30, rincasava alle 16. Il Lunedi ed il Venerdi mattina correva circa 5 chilometri intorno al recinto del parco, il Martedi pomeriggio andava a trovare i suoi genitori che abitavano in centro, il Mercoledi sera di solito si dedicava alla lettura oppure guardava il calcio in televisione, anche la Domenica la trascorreva in casa a guardare lo sport, in particolare Anselmo riteneva la Domenica un giorno quasi sacro e raramente usciva di casa dopo mezzogiorno. Al cinema andava solo di Giovedi ed il Sabato, tutti i Sabato sera, andava alla pizzeria “Da Ettore” a mangiare la pizza, sempre la stessa da quell’autunno del 1999, ovvero: una margherita con prosciutto cotto.

Entrava, preciso, verso le 20 perché a quell’ora c’era poca gente (Anselmo odiava aspettare) e si sedeva al tavolo accanto al bar, sulla destra dell’ingresso. Ettore, che lo conosceva da quando ero poco più che un pupo, gli teneva sempre il posto libero, poi lo lasciava pensare almeno cinque minuti, durante i quali Anselmo guardava il menù delle pizze, come se volesse finalmente cambiare.

Quando Ettore si avvicinava, Anselmo riponeva il menù e gli diceva: “portami una margherita con cotto, sottile mi raccomando”. Ettore annuiva sorridendo e gli chiedeva: “e da bere ?”. A quel punto Anselmo aveva sempre quell’istante di indecisione, magari finta, al termine del quale rispondeva: “portami una Fanta”.

Sulla Fanta c’erano state alcune brevissime trasgressioni, un periodo che Anselmo aveva sofferto con lo stomaco e il dottore gli aveva impedito di bere robe gassate, l’aveva sostituita con dell’acqua naturale; in altre sporadiche occasioni Anselmo aveva provato ad accoppiare alla pizza una birra, sempre di taglia piccola, ma si vedeva lontano un miglio che la birra non gli piaceva. La bevve, raramente, solo per darsi un tono.

A volte Ettore aveva provato a convincerlo a provare altre pizze, in particolare la sua specialità la “bianca con le verdure”, ma Anselmo aveva sempre declinato l’invito ad assaggiare gusti nuovi, soprattutto quella con le verdure, che a lui non piacevano affatto mischiare con la pizza. E quindi, si era andato avanti sempre con la solita margherita con prosciutto cotto.

Quando Anselmo terminava di mangiare la pizza andava al banco a parlare con Giulio, il nipote di Ettore che faceva il barista. In genere parlavano di calcio o di politica (Anselmo e Giulio tifavano per la stessa squadra ed erano dello stesso schieramento ideologico), ma puntualmente ad un certo punto, Anselmo se ne usciva sempre con la solita frase: “qui non ci sono più speranze, bisognerebbe partire ed andarsene via. Emigrare. Ricominciare da tutt’altra parte”. E spesso ritornava anche l’episodio della Nuova Zelanda e della meraviglia dell’andare a vela, dal quale erano trascorsi quasi trent’anni. Giulio, che pure non faceva una vita di grandi soddisfazioni, annuiva tra il convinto e il rassegnato. A volte incitava Anselmo a fare le valigie, “tu che puoi” gli diceva, “fai un biglietto aereo e te ne vai”.

Tanto che Anselmo si sentiva rinfrancato da tanto vigore, sapeva di potere (invece Giulio non poteva, con una moglie e due figli adolescenti) ma sapeva anche che non ce l’avrebbe fatta mai perché in fondo non aveva più il coraggio dei vent’anni e anche perché le abitudini avevano preso il sopravvento diventando una sua seconda natura.

Intorno alle 21, massimo 21.15 Anselmo usciva dalla pizzeria e tornava a casa, passeggiava lento (per digerire, pensava lui) e si andava a mettere direttamente a letto. Così erano tutti i suoi sabato da circa 17 anni. Lui ne avrebbe compiuti cinquanta la prossima primavera.

Tutto ciò fino ad una sera di inizio estate. Alle 19.50 di un Sabato qualunque Anselmo uscì di casa per recarsi “Da Ettore”, aveva una gran fame e già immaginava di degustare la sua pizza al prosciutto nella tranquillità della prima serata in pizzeria.

Ma già quando fu al principio del viale alberato, notò una certa differenza tra le luci in fondo alla strada, poi arrivando ad una decina di metri dalla grande vetrata si accorse che l’insegna era spenta e che la pizzeria “Da Ettore”, chiusa. Sulla saracinesca un piccolo manifesto funebre: la madre di Ettore, 94 anni, sei figli e numerosi nipoti, era venuta a mancare due giorni prima. Il Venerdi c’era stato il funerale ma Ettore non aveva riaperto quel Sabato. Più scostato, sulla piccola porta di ingresso un foglio con una scritta a pennarello “chiuso per lutto” di traverso. Anselmo esitò un minuto, in 17 anni non era mai capitato un imprevisto simile, diede uno sguardo intorno, pensò persino se ci fosse un’altra pizzeria nelle vicinanze, poi girò le spalle e se ne tornò a casa arrangiandosi con gli avanzi del pranzo.

Quella notte dormì malissimo, un incidente di questo tipo gli aveva frantumato le abitudini e mandato in tilt il suo sistema nervoso. Anche quella Domenica gli sembrò un giorno differente, una singolare inquietudine lo attraversò dalla testa ai piedi. Finchè si fece ora di cena.

Quella di Anselmo fu una decisione istantanea ma non imprevedibile, era tutto il giorno che ci pensava. Intorno alle 17 gli sembrava di aver deciso che avrebbe cenato sul tavolinetto davanti alla televisione in soggiorno, oppure che avrebbe consumato solo della frutta per stare leggero (come era solito fare la Domenica); poi alle 18 aveva cambiato idea e quasi quasi faceva una pazzia e ordinava un kebab dall’egiziano in piazzetta che gli e lo avrebbe portato a domicilio: erano vent’anni che Anselmo non mangiava un kebab, da quando, cioè, era ancora un cibo assolutamente alternativo. Ma verso le 19.20 tutto gli fu chiaro: non poteva rinunciare alla sua margherita con prosciutto, attendere fino al Sabato successivo per rimangiarla sarebbe stato troppo doloroso.

Si vestì e, alle 19.50, come se fosse Sabato, Anselmo uscì di casa. La vicina che lo incrociò sulle scale lo guardò stranita salutandolo con un filo di voce. Anselmo si muoveva cauto, come un ladro che stava confezionando un furto con destrezza. Attraversò la strada come se fosse la prima volta, notò subito l’insegna illuminata, giunse in fondo, spinse deciso la porta della pizzeria ed entrò.

Incrociò lo sguardo di Ettore, al quale strinse la mano per le condoglianze, mentre con l’altra gli sfiorava la spalla due o tre volte. Quindi volse lo sguardo verso il suo tavolo e, qui la sorpresa, lo trovò occupato. Anselmo controllò bene che fosse proprio il suo, ma non c’erano dubbi, un’altra persona era seduta al suo posto. Era quasi sul punto di protestare con Ettore, ma poi si ricordò che quel giorno non era Sabato e allora non aveva nulla a che pretendere. Si sedette allora un poco più spostato, verso la cucina, sempre un tavolo piccolo accanto al muro, dal quale poteva spiare il suo posto: una donna c’era seduta, poteva avere circa la sua età, forse qualche anno in meno, comunque portava quegli anni con classe.

Anselmo spostò la sedia in modo da poterla tenere d’occhio, la intravedeva di schiena, a volte di profilo quando lei muoveva il capo verso l’entrata. Erano giusto le 20 e la donna controllava il menù, proprio come si accingeva a fare lui adesso. Anselmo provò a distrarsi, ordinò la sua solita pizza con la Fanta e attese che arrivasse buttando lo sguardo in giro per la sala ancora semideserta. Intanto cercava di indovinare quale pizza avesse preso la donna che si era seduta al suo tavolo. Ettore portò prima la pizza ad Anselmo, la donna aspettò con pazienza la sua, dopo qualche minuto le consegnò una variopinta e spessa pizza con le verdure che Anselmo spiò con un moto di disgusto.

Quando ebbe finito. Anselmo si alzò piano e si diresse come al solito da Giulio che era impegnato ad asciugare bicchieri. “Bisognerebbe avere il coraggio di partire prima di diventare troppo vecchi” gli disse subito con una sfuggente allusione alla scomparsa della madre di Ettore. Giulio non rispose, continuava ad asciugare calici da vino.

Senti” gli chiese Anselmo che non riusciva più a trattenere la curiosità, “quella chi è ?” e con il mento indicò la donna seduta al suo tavolo.

Beatrice intendi ?”.

Beatrice. Anselmo ripassò la sua agendina mentale, ma non trovò nessun riscontro.

Beatrice viene ogni Domenica a mangiare la pizza, se trova libero si siede là, è un pò che la prende con le verdure”. Anselmo fece segno con la testa come per dire “e poi ?”. Giulio ripose il calice che aveva tra le mani e continuò: “E’ separata da quasi dieci anni, vive all’angolo della piazzetta, in fondo al viale, ha una figlia di 10 anni. Insegna alle medie, credo musica, perché suona il clarinetto in orchestra, ogni tanto lo porta con sé”.

Ma abita al palazzo accanto al mio” pensò Anselmo, “come poteva essere che non si erano mai incontrati”. Automaticamente pensò alle sue abitudini così rigide, i suoi orari e le sere a casa sul divano.  “Non sai altro di lei ?” chiese a Giulio.

Non molto. Credo odi il calcio e non l’ho mai sentita parlare di politica, beve sempre vino rosso, gioca con tutti i bambini che incontra, sorride sempre e veste spesso in rosso, a volte anche in rosa o giallo”.

Infatti Beatrice aveva indosso un lungo vestito rosso e scarpe con il tacco scure.

Era abbastanza. Anselmo amava il calcio e si appassionava per le discussioni politiche, odiava le verdure sulla pizza e la musica classica, sosteneva di essere astemio, si lamentava di frequente e non rideva quasi mai, vestiva di blu o di nero, non sopportava i bambini.

Praticamente due opposti. Mentre Giulio e Anselmo erano là, Beatrice si alzò dal tavolo e andò dritta al banco del bar, salutando Giulio con la mano, i suoi occhi finirono poi, non si sa come, negli occhi di Anselmo che non riuscì a proferire una sola sillaba.

Buonasera” disse invece Beatrice, sorridendo, inclinando leggermente il capo in avanti. E poi uscì.

Erano passati 17 anni dall’ultima volta che Anselmo aveva ricevuto un sorriso così da una donna. Giulio ed Ettore notarono nei suoi occhi una luce inconsueta.

Potresti provare a conoscerla” disse Giulio. Anselmo pensò fosse una cosa impossibile, ma non disse nulla. Come sotto ipnosi uscì dalla pizzeria. Anselmo trascorse una settimana diversa. Il Sabato successivo il suo tavolo rimase vuoto. In pizzeria tutti ne rimasero sorpresi e pensarono che fosse successo qualcosa di brutto.

Poi la Domenica, alle 20 in punto, Anselmo entrò “Da Ettore” e si sedette al tavolo accanto a quello di Beatrice che era già là. Dopo la pizza, trovò una scusa, così scambiarono un minuto di parole.

La Domenica successiva si fermarono a parlare sul marciapiede, pioveva, lei era uscita in sandali e gonna al ginocchio: li videro allontanarsi sotto lo stesso ombrello.

La settimana dopo Ettore giurò di averli visti camminare uno accanto all’altro sul viale alberato, una mattina, di Venerdi. C’era anche la figlia di Beatrice. Qualcuno gli credette, qualcuno no.

Finchè una Domenica presero un tavolo insieme. Anselmo indossava un maglioncino bianco e dei pantaloni begie chiaro e continuava a ridere, quando arrivò Ettore ordinò due pizze alle verdure e una bottiglia di vino rosso. E alla fine anche un limoncello.

Fu la sera che uscirono tenendosi per mano. Ora vivono insieme. Mangiano pizze sempre differenti, la Domenica ma anche il Sabato.

Ecco, a volte la soluzione è appena un passo fuori dalle nostre abitudini e non serve pensare di scappare per trovarla”, disse Ettore a Francesco, il nuovo barista.

Giulio non c’era più.

Era partito per la Nuova Zelanda, improvvisamente.

 

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