40 anni, più un giorno

pallone_basket_14Il sogno che faccio più spesso, da quando, nel 2009, ho smesso di giocare a pallacanestro, è quello di disputare di nuovo una partita. Rientrare in campo, anche solamente cinque minuti. In questo mio sogno ricorrente, spingo sempre il pallone verso il parquet, con le dita, palleggiando senza fretta, vado dall’altra parte del campo, pensando a quello che devo fare. Ai movimenti, ai passaggi, al tiro che dovrò scegliere, alle decisioni che dovrò prendere. Parlo con i miei compagni, scruto il pubblico, controllo il punteggio.

Ho frequentato il campo di basket di Minori per circa 27 anni. Dal 1982 quando, per seguire mio fratello più grande, mi iscritti al minibasket, al 2009 quando ho dovuto lasciare gli allenamenti per un infortunio. Sempre tesserato per il Gruppo Sportivo Minori, finché nel 2008, questo non confluì nella Pallacanestro Costiera Amalfitana (oggi le società si sono divise). Durante pezzi della mia adolescenza ho trascorso più tempo al campo che a casa, allenandomi con qualsiasi squadra, anche con la femminile se potevo. Ho giocato, allenato, arbitrato, controllato e persino disegnato le linee del campo.

Ventisette anni, tutti di seguito, sono un tempo lunghissimo, non sono una parentesi e neanche un passaggio occasionale. Ancora oggi rappresentano due/terzi della mia vita.

In tutto quel periodo io sono cambiato profondamente, è molto cambiato il mondo intorno a me, le amicizie e le intenzioni. Ciò che non è cambiato mai è stata la passione, il desiderio di impegnarmi, di fare qualcosa per questo luogo, per questi compagni di viaggio e per questa società.

E come me, molti altri hanno tenuto insieme questa compagine con la medesima passione. Prima pensando che il basket potesse fare qualcosa per noi come farci diventare migliori o, nel nostro piccolo, famosi, e poi con la coscienza che eravamo noi che stavamo facendo qualcosa per il basket e per gli altri. Perché le generazioni passano ma il simbolo resta. Rimane il nostro campo sotto ad una tenda verde, che per anni fu fortino inespugnabile per il calore del pubblico così vicino ai confini del gioco; resta, nelle orecchie, il rimbalzo incessante dei palloni, l’unico suono di tante fredde sere d’inverno. Rimane nelle narici, anche l’odore della gomma bollente, nei pomeriggi d’estate passati al “tre contro tre”. Rimangono tutte le trasferte sgangherate ed impossibili, in posti dove non saremmo mai andati se non fosse stato per il basket.

Non rimangono molte fotografie, in tempi dove se ne faceva una soltanto, a fine stagione, o nell’intervallo di una partita, per ricordo. Ma solo se lo voleva l’allenatore per il suo album.

Qualche ritaglio di giornale, per chi lo ha conservato, c’è. Una videocassetta, frammento da una tv locale. Di quando siamo stati in serie C2.

Ma di tutto questo tempo, neanche un minuto si è perso. Per questo, oggi, sogno spesso di giocare ancora una partita. Come un desiderio che non vuole sparire, che forse non sparirà mai più. Anche se un giorno riuscissi a tornare, come allenatore o come genitore. Chissà.

Il Gruppo Sportivo Minori compie in questi giorni quarant’anni. La volontà e la passione di altri coraggiosi volontari porta avanti la società, come se fosse ancora il primo giorno. Tanti bambini, ragazzi, adolescenti e adulti, corrono, idealmente, dietro a quel pallone a spicchi, lo spingono tutti insieme nel canestro, sostengono in qualche modo gli sforzi di tenere vivo un disegno comune. E’ un dono raro, forse la cosa più preziosa che possiede il nostro paese.

E lo ha da quarant’anni, più un giorno.

 

POST SCRIPTUM

Durante la cerimonia per il compleanno della società, il presidente onorario Gabriele Di Lieto ha ricordato il momento che lo ha emozionato di più in questi 40 anni. “E’ stato il giorno che abbiamo conquistato per la prima volta la promozione in serie D, però non mi ricordo che giorno era”, ha detto.

Siccome la storia ha bisogno anche di didascalie, vorrei dare il mio contributo.

Nella stagione 1991/92 il Gruppo Sportivo Minori disputava il campionato di promozione per l’ennesima volta. Ma quell’anno, con il giovane coach Fusco Giuseppe, si sentiva nell’aria che qualcosa fosse cambiato. Vincemmo il campionato e giungemmo alla finale dei play-off, dove la sfida fu ancora una volta con gli avversari storici del Centro Sportivo Pastena. Avevamo il vantaggio della “bella” in casa, ma non servì. Dopo aver vinto agevolmente di 16 punti in gara uno a Minori, una carovana di auto carica di dirigenti e tifosi, seguì la squadra in trasferta, nella palestra del campo sportivo “Vestuti” di Salerno. Fu una partita quasi perfetta: la vincemmo 76 a 71. A fine partita, Amatruda Alfonso, storico pivot di quegli anni, previo consenso, tagliò la retina del canestro; un carabiniere si avvicinò ad uno degli accompagnatori e chiese se c’era necessità di scortare il corteo di auto per qualche chilometro. Fu un giorno speciale. Eravamo felici.

Arrivammo a Minori in carosello, suonando i clacson senza sosta.

Era Giovedì 28 Maggio del 1992.

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