IL LAVORO “A GRATIS”

Di tanto in tanto spunta la notizia di qualche amministrazione in cerca di architetti per compilare piani urbanistici, regolamenti edilizi, bandi di concorso o altre robe.

E fin qui potrebbe anche trattarsi di un’ottima notizia, se non che gli architetti prescelti dovrebbero, per contratto, svolgere il lavoro gratis. In cambio solo dell’allungamento del proprio curriculum professionale (per quello che conta poi il curriculum in Italia…).

In realtà, non essendoci corrispettivo in denaro non si potrebbe neanche parlare di lavoro. L’architetto dovrebbe farlo per la gloria o più semplicemente per hobby.

Preso atto che ci può essere un certo numero di architetti disposti a lavorare per hobby o perché disperati e quindi in attesa di tempi migliori, o perché benestanti o semplicemente benefattori della società, non si può ignorare che esistano architetti che hanno esigenza di ricevere una contropartita in denaro alle loro prestazioni, per sopravvivere. Per questo motivo, a mio avviso, dal punto di vista legislativo vanno sdoganate almeno altre cinque categorie di architetti borderline o “invisibili”.

L’architetto “in nero”: Di solito si tratta di un doppiolavorista, magari con un impiego pubblico, magari in un settore che non ha niente a che fare con l’architettura. A fine turno l’architetto “in nero” si reca in uno studio professionale dove ci sono altri professionisti che dividono le spese dell’affitto, delle bollette, del condominio, della spazzatura ecc. e che hanno bisogno di un aiuto per non mollare nessun incarico. Qui entra in gioco l’architetto “in nero” che può essere un disegnatore autocad, un compilatore di computi metrici, un esperto di Photoshop o altro ancora. Ufficialmente l’architetto “in nero” è un amico che è venuto a trovare gli amici, spesso tutti i giorni; il successo o la sventura dello studio si ripercuotono sul pagamento delle sue prestazioni. L’architetto “in nero” può anche occuparsi delle relazioni esterne dello studio, tipo seguire un cantiere, scegliere i materiali con i clienti (ricevendo percentuale) o effettuare sopralluoghi con foto. Essendo “in nero” non ha orari fissi, può anche tirare notti insonni tanto potrà riposarsi il giorno dopo a casa o meglio ancora in ufficio. L’architetto “in nero” essendo completamente sconosciuto al fisco non ha bisogno di essere iscritto all’ordine e dunque neanche ad Inarcassa; a volte può anche non essere neppure un architetto, bastano una decina di esami o una discreta passione.

L’architetto “extra”: Molto adoperata nel campo della ristorazione, la prestazione “extra” può essere riconvertita anche in quello dell’architettura. Se in uno studio ci sono scadenze imminenti da rispettare e il personale non basta, ecco che si può ricorrere all’architetto “extra”. Come è comprensibile il suo ambito lavorativo è prettamente al servizio del privato, ma anche enti pubblici potrebbero tenere d’occhio questa opportunità di usufruire di prestazioni extra senza nessun obbligo di assunzione. Di solito l’extra viene pagato a serate esattamente come il cameriere o il lavapiatti. Comodi anche i pacchetti settimanali. Se l’architetto extra viene pagato con denaro tracciabile allora ricade nei casi di fatturazione tradizionale, tuttavia proprio per l’estemporaneità della prestazione sono molto graditi i contanti.

L’architetto “hostess” (o “steward”): Si tratta dell’architetto chiamato per fare “bella figura”. Può lavorare a domicilio quindi presso lo studio del titolare o in trasferta e può essere sia maschio che femmina infatti si tratta di un’attività assolutamente bisex, dipende da chi lo utilizza e per quale motivo. 
Spesso l’architetto “hostess” (donna) e/o l’architetto uomo (“steward”) sono chiamati presso uno studio per fare scenografia in caso di visita di cliente molto ricco; di frequente vengono impiegati nelle cene di lavoro. All’architetto “hostess” sono chieste poche ma fondamentali cose: bella presenza, eleganza (abbigliamento succinto ma non volgare per la donna; impeccabile per l’uomo), sorriso permanente, proprietà di linguaggio e conoscenza degli argomenti lavorativi più ricorrenti (tasse, burocrazia, mostre d’arte). Spesso quest’architetto lavora in caso di visite ai comuni per procacciare incarichi pubblici. Frequente l’utilizzo di architetti hostess/steward per simpatizzare con assessori e/o sindaci; di solito lo “steward” può anche ricoprire ruoli da autista o portaborse. Alcuni architetti possono sostituire questa figura professionale avvalendosi di figli/e, mogli/mariti o amanti, che però possono ricoprire il ruolo solo se sufficientemente edotti dal punto di vista nozionistico. La differenza infatti è tutta (e qui subentra la professionalità del ruolo) nella possibilità di riuscire a fronteggiare una improvvisa domanda su Renzo Piano o magari su Le Corbusier. Anche in questo caso, come è intuibile, non è necessaria l’iscrizione all’ordine, né tantomeno il titolo di studio e si preferiscono i pagamenti in contanti, possibilmente anticipati.

L’architetto “che firma”: In tempi di conflitto di interesse si fa largo con prepotenza la figura dell’architetto addetto solo alla firma. Si tratta di un professionista molto utile quando per un motivo qualsiasi un altro architetto non può apporre firme sui documenti compilati. Gli esempi più comuni sono i progetti da sottoporre a comuni “gestiti” da familiari o collaudi su opere progettate. Utile anche per perizie uso tribunale, direzioni di lavori scomodi e piani di sicurezza. L’architetto “che firma” è convocato alla bisogna, giunge munito di timbro che appone unitamente al suo nome su qualsiasi cosa gli si sottoponga. Fondamentale fare poche domande. Necessaria l’iscrizione all’ordine e il regolare pagamento dei contributi. Può farsi ben retribuire, naturalmente tramite una trattenuta in fattura a beneficio dell’architetto committente.

L’architetto “a consiglio”: E’ un’attività che coinvolge centinaia, probabilmente migliaia, di architetti, soprattutto quelli più giovani. Sono coloro ai quali si chiede un consiglio; consiglio che il giovane architetto elargisce sempre con molta buona volontà e disciplina, spesso accompagnandolo con schizzi, disegni, ricerche d’archivio, rendering e quant’altro. Infatti l’elargizione del consiglio è una pratica che, nella maggior parte dei casi, non si esaurisce in pochi minuti, bensì occupa l’architetto per diverso tempo. Dopodiché il richiedente, accetta il consiglio (unitamente ai relativi incartamenti), ringrazia e consegna il tutto ad un altro architetto (o anche ad un capomasto) che farà il lavoro e sarà retribuito. Siccome il consiglio è sempre, rigorosamente, non pagato, occorre tutelare questa forma di lavoro stabilendo una tariffa per ogni consulenza, soprattutto quella verso i parenti che sono specialisti del consiglio non oneroso. Si potrebbe optare per una tariffa standard o redigere una tabella per la tipologia di consiglio erogato, una specie di marchetta del consiglio: agevole, raddoppiato, triplo. O ricorrere ad una tariffa oraria o più semplicemente “a tempo”.

(brano tratto da “L’Architemario – volevo fare l’astronauta” – Overview editore, 2014)

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1 Comment IL LAVORO “A GRATIS”

  1. Marcio Tolotti Architetto 4 Maggio 2013 at 09:43

    Ahhh che bel mestiere… io sono pronto a lavorare a gratis, è una vita che faccio donazioni. Che gratis sia basta che si costruisca come dico io, per filo e per segno! Un patto col diavolo insomma. Dubito che qualcuno accetterebbe. :-)

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