IL CLIENTE PERFETTO NON ESISTE

jacovittiCon la crisi che c’è, nessun architetto può permettersi di lasciarsi scappare clienti, svincolandoli verso l’agguerrita concorrenza. Tuttavia vi sono almeno cinque categorie di clienti che possono compromettere gravemente la salute fisica e mentale dell’architetto e che quindi sarebbero da evitare. Pur nella consapevolezza che il cliente perfetto è una pura figura teorica, gli architetti per una questione di orgoglio personale, devono conservare la facoltà di rifiutare, se dinanzi compaiono alcune tipologie di potenziali clienti o presunti tali.
Ecco la classifica dei clienti più pericolosi per un architetto.
Al quinto posto – Il latitante: Il cliente latitante anche detto “finto cliente”, si manifesta all’improvviso dopo un periodo durante il quale si confonde con il cliente normale. Per questo motivo, anche gli architetti con molta esperienza possono finire bleffati dal latitante. Di solito giunge con una richiesta del tutto razionale, mostra un pizzico di indecisione, molta curiosità ed è generoso di complimenti nei confronti dell’architetto. In realtà il cliente finto ha bisogno di un consiglio, di sapere “cosa si può fare” o “come si potrebbe fare”, spesso non ha ancora i presupposti per effettuare il lavoro o perché non è ancora proprietario del bene o perché non ha i soldi o perché devono prima sistemarsi altre situazioni contingenti. In ogni caso questo tipo di cliente arriva apparentemente dotato di tutta la buona volontà, vi commissiona un progetto di qualche tipo chiedendovi di fare piuttosto in fretta. Dopodiché riappare quasi subito per ottenere risposta. Ottenutala, saluta dicendo “vi faccio sapere io” oppure “allora rimaniamo che vi chiamo”, ovviamente non paga, al massimo un minimo acconto a puro titolo di gratitudine, quindi scompare e si da alla latitanza. Come se si trasferisse ad Antigua. Se provate a chiamarlo o lo incontrate per strada, vi risponde che sta aspettando una risposta da uno zio, che ora si deve sposare il figlio, che non è stato bene di salute o qualsiasi altra motivazione di questo tipo. Se insistete a chiamarlo scoprirete un numero di cellulare inesistente, se continuate ad incontrarlo per strada, lui progressivamente prima vi darà sommarie spiegazioni sempre meno dettagliate, quindi vi saluterà distratto senza fermarsi, finché farà finta di non avervi mai conosciuto. Nel peggiore dei casi, dopo del tempo, l’architetto può scoprire che quel lavoro è stato effettuato come aveva previsto lui, ma senza di lui.

Al quarto posto L’attaccabrighe: Il cliente attaccabrighe si serve dell’architetto come trampolino di lancio per litigare, di solito con i vicini o con i parenti (le due nature spesso coincidono). Di solito il mandante dell’attaccabrighe è un avvocato che gli intima di rivolgersi ad un tecnico per esplicitare le proprie ragioni. Di solito esordisce con un “l’avvocato mi ha detto di rivolgermi ad un tecnico” dopodiché vi trascina in una storia di diritti violati, servitù di passaggio trentennali, usucapioni, mappe catastali incomprensibili, atti notarili di fine ‘800 ecc.; quindi la filippica si sposta sul piano personale: nipoti di cugini che hanno fatto chissà cosa in danno di mogli di cognati e cosi via. Al termine di un accaloratissima invettiva, l’attaccabrighe chiede all’architetto di redigere una relazione per rivendicare discutibili diritti condannandolo alla partecipazione di una causa civile e/o penale che lo inchioderà, nel ruolo di testimone o tecnico di parte, per tutta la durata del processo, il che significa anche per i successivi 20 anni. Considerata la rabbia che spesso pervade l’animo dell’attaccabrighe, dargli torto può essere molto pericoloso, si viene subito tacciati di collaborazionismo con il nemico o di incompetenza. La soluzione è annuire con malinconica rassegnazione, sposare le ragioni del cliente ma, contemporaneamente, trovare un motivo valido dissociarsi immediatamente dalla vicenda (tipo impegni urgenti, parentele immaginarie con la parte avversa ecc.). E’ bene precisare che siccome l’attaccabrighe è il migliore cliente dell’avvocato, ma il peggior nemico dell’architetto, nella maggior parte dei casi la relazione di quest’ultimo finirà negli incartamenti del legale che se ne attribuirà la paternità facendosi pagare lautamente la consulenza, mentre il tecnico sarà ricompensato, forse e solo in caso di vittoria, al termine della causa, quindi probabilmente mai.

Al terzo posto: L’anarchico: L’anarchico è un cliente dell’architetto solo ed esclusivamente perché gli e lo impone la legge, ma, se potesse, ne farebbe tranquillamente a meno. Questo perché l’anarchico si sente molto più architetto dell’architetto, così come si sente molto più masto del masto, molto più fabbro del fabbro, mobiliere del mobiliere, ecc. Il suo tratto caratteristico è la disobbedienza, qualsiasi direttiva gli si consigli, l’anarchico farà sempre di testa sua, ovviamente nel caso il suo comportamento provochi grossi guai, la colpa ricadrà puntualmente sull’architetto che sarà condannato a furiose litigate o ad estenuanti mediazioni. Per un architetto fare il direttore dei lavori di un cliente anarchico è un impegno di grande responsabilità: distrarsi anche solo per poche ore può significare ricevere denunce, citazioni con richieste di danni o nel migliore dei casi minacce dell’incolumità fisica personale. In ogni caso il tempo impiegato e le energie spese per contrastare un cliente anarchico, non vengono mai ricompensate dall’onorario. L’architetto può difendersi dall’anarchico informandosi sulla sua storia personale, in quanto l’anarchico nel 90% dei casi è recidivo e difficilmente si redime. Drammatici i casi nei quali il committente cliente anarchico si allea con una ditta esecutrice anch’ella anarchica.

Al secondo posto, L’ansioso: Il cliente ansioso è uno dei più pericolosi dal punto di vista della stabilità mentale dell’architetto. Entrare nel tunnel del cliente ansioso può trascinare l’architetto verso crisi di panico, manie di persecuzione o dissociazioni della personalità. L’ansioso si manife
sta con continue telefonate, ad ogni ora del giorno giustificate con il sollevamento di problemi inesistenti, fino a quel momento. L’ansioso non delega mai, vuole capire, pensarci, partecipare, ragionare, esprimersi, ripensarci, toccare con mano, trovare soluzioni alternative e, infine, pensarci ancora un po’. Inoltre oltre ad essere un incrollabile indeciso, il cliente ansioso è quasi sempre logorroico. L’ansioso travolge l’architetto con i suoi innumerevoli dubbi che, in principio, quest’ultimo affronta con grande sicurezza, dando risposte ad ogni domanda. Con il tempo però, la ripetizione ossessiva delle stesse domande mina le certezze dell’architetto che cominciano inesorabilmente a barcollare in attesa di conferme che non arrivano mai, poiché un’altra caratteristica dell’ansioso è l’indecisione. L’indecisione e la logorrea sono due forme patologiche già molto pericolose prese singolarmente, figuriamoci mischiate insieme ed unite all’ansia. L’ansioso per paura di commettere errori tende a rimandare ogni decisione per cui, ad esempio, la scelta di un pavimento può impegnare architetto e cliente per mesi, a volte anni, visitando decine di show-room con improvvise quanto inquietanti deviazioni verso il parquet, la resina o la moquette. Ma classiche sono le oscillazioni su questioni di decisiva rilevanza, ad esempio tra la tazza di gabinetto con scarico a parete o a terra, le maniglie a placcatura dorata o cromata, le spine elettriche nel soggiorno, la posizione del condizionatore, la cucina ad una o due vasche, lampadario o applique a muro, ecc. Ancora più grave è se l’ansioso è accompagnato, metti caso, da una moglie, che, metti caso, è anch’essa ansiosa (o viceversa), in questo frangente la progettazione di un abitazione può diventare motivo di ricovero.

Al primo posto, L’avaro: Dicesi cliente avaro il cliente che non paga, ma non perché indigente dal punto di vista economico, bensì per mera avarizia o per sottostima del lavoro del proprio architetto, che di solito cataloga come “…quelle due carte…”. Di solito all’avarizia, questo tipo di cliente abbina la fretta, pur non pagando mai infatti, l’avaro ha sempre molta fretta di fare le cose, o meglio che l’architetto faccia le cose per lui. La caratteristica principale dell’avaro è l’ostentazione del lusso personale, di solito, infatti il cliente avaro è sempre vestito da fighetto senza mezze misure: o benissimo (capi firmati, accessori costosi), o malissimo (modello trash in infradito ed occhiali neri enormi) e, ogni volta, sfoggia sempre un nuovo smartphone o un tablet da 1500 euro. L’avaro professionista arriva persino a scroccare servizi aggiuntivi, tipo nello studio del suo architetto chiede di fare delle fotocopie personali, di telefonare con il fisso, di consultare riviste prendendole in prestito per non restituirle mai più o persino di dargli un passaggio a casa in auto. Il cliente avaro ha sempre grandi progetti, lavori di importi a 7 cifre che già mentre li racconta, l’architetto prende a sudare e ha gli incubi. L’avaro è in genere uno spettacolare attore teatrale, finto come una banconota da 3 euro, tutte le volte che l’architetto gli presenta un conto, questi lo osserva come i pastorelli di Lourdes accolsero la Madonna. Inoltre l’onorario dell’architetto per l’avaro è sempre esagerato, ma non di poco, è sempre almeno il triplo di quello che lui “si aspettava”. Questo però non scompone di un millimetro l’avaro che conserva il suo aplomb; di solito si tasta un po’ le tasche, come per dire “oggi non ho spicci” e poi promette all’architetto che salderà al più presto. Di solito le promesse si accumulano così come gli acconti in arretrato, l’architetto molle cede per stanchezza, quello tenace perseguita l’avaro fino ad ottenere almeno una parte del pagamento, quello saggio, alla prima avvisaglia, lo caccia fuori dallo studio e se ne libera per sempre.

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tratto da “L’Architemario – volevo fare l’astronatura” (Overview editore, 2014)

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