Brevi storie degli elementi architettonici sottovalutati (4): La tubatura

L'estetica del tuboGli architetti si mettano pure l’anima in pace, oggi non sono loro a disegnare i prospetti degli edifici, bensì il tubista. Non è internet, non è l’high tech, non è il recupero dell’antico, bensì il tubo il vero elemento caratteristico del nostro panorama urbano. E’ il tubo, con tutte le sue affine tubature, che ignorando qualsiasi tipo di ostacolo si arrampica lungo le facciate degli edifici, si intrufola sui balconi, percorre chilometri di parete con incurante insensibilità unendo tutto ciò che tocca, più rigorosamente di ogni collegamento tecnologico.

Il tubo è uno degli elementi della architettura contemporanea più incredibilmente sottovalutati, ma vista la mole e l’invadenza del fenomeno, si tratta di un atteggiamento che presto scomparirà e probabilmente il tubo occuperà presto lo spazio che merita nei manuali di composizione architettonica.

Il tubo ha origini illustri: fu inventato da Dio in persona, anzi, prima della vita, Dio era egli stesso un tubo “Dio possedeva la flessibilità di quest’ultimo e al tempo stesso giaceva rigido e inerte, confermando così la sua natura di tubo. Sperimentava la serenità assoluta del cilindro. Filtrava l’universo e non tratteneva niente”*; quando creò l’uomo lo immagino esattamente così: un tubo con un foro di entrata e uno di uscita. Poi decise di donargli un linguaggio e uno sguardo e l’uomo smise di essere tubo; tuttavia ancora oggi non è raro incontrare esseri umani con sembianze e comportamenti simili ad un tubo.

Gli antichi romani, già nel V secolo a.C., furono il primo popolo a inventare un sistema di fogna pubblica che chiamarono “cloaca massima”, con tutte le tubature costruite in terracotta finivano in un luogo sconosciuto, forse in mare, esattamente come oggi. Il merito se lo intestò Tarquinio Prisco, che come tutti sanno è considerato il quinto re di Roma, successore di Anco Marzio e predecessore del genero Servio Tullio, del figlio detto il Suberbo e del capitano Paulo Roberto Falcao.

Intorno al 1600 sulla scia del successo ottenuto con la fabbricazione delle palle di cannone venne introdotto l’uso della ghisa per le tubature. Per i suoi requisiti di resistenza la ghisa avrebbe ostacolato la nascita e il proliferare della figura dell’idraulico, anche per questo fu progressivamente eliminata a tutto vantaggio di altri metalli. Oggi la ghisa, proprio in virtù delle proprie caratteristiche, è impiegata soprattutto per le piastre del barbecue e per vari oggetti contundenti estremamente utili in caso di liti familiari.

Fino al 1930 per le tubature fu largamente impiegato il piombo, metallo che veniva preferito al ferro per questioni economiche e già noto per essere utilizzato per i proiettili delle armi da fuoco e per le batterie delle automobili. Dal 1965, per tubature e coperture, ebbe grande diffusione l’amianto mischiato al cemento, quello che comunemente chiamiamo “eternit”. Sia il piombo che, soprattutto, l’eternit sono stati accantonati poiché cancerogeni ed il suo smaltimento è attualmente un grave onere. Infatti oggi è frequente il fenomeno dell’abbandono del tubo di eternit, soprattutto ai bordi delle strade e non solo all’inizio dell’estate.

Oggi le tubature sono principalmente in fibra plastica, ma per particolari utilizzi non si disdegna il ferro e il rame. Però entrambi questi ultimi due materiali possono essere clandestinamente sostituiti dall’alluminio.

Fino a mezzo secolo fa, la tubatura serviva esclusivamente all’approvvigionamento d’acqua potabile, per lo scarico dei bagni e per lo smaltimento delle acque piovane. Le tubature erano presenze discrete e spesso occultate intorno o dentro le nostre case. Finché negli ultimi anni c’è stato il vero boom del tubo. Una moltiplicazione esponenziale generata dai suoi nuovi utilizzi. Ai nostri edifici si sono aggiunte nuove tubazioni, infatti, per la distribuzione del gas, per le condotte dell’aria condizionata, per le canne fumarie delle caldaie, per la canalizzazione dei cavi elettrici o degli impianti satellitari, per le areazioni forzate dei locali ma anche perché “passiamo un altro tubo che non si può mai sapere”.

E pensare che c’è stato un tempo in cui il tubo scorreva invisibile, con il suo alloggio ricavato all’interno della muratura, discreto utensile, dimenticato e dimenticabile poiché quasi praticamente indistruttibile. Fino alla prima metà del XX secolo, infatti, il ritrovamento del tubo era una delle operazioni più delicate in quanto occorreva possedere qualità da rabdomante edilizio. Venivano convocati vecchi geometri in pensione, manovali che ricordavano che un suo zio gli aveva raccontato che il nonno forse aveva riparato il bagno in quell’edificio, o forse in quello accanto che comunque è quasi uguale. In futuro il ritrovamento di un tubo nella muratura sarà un evento raro quasi quanto un goal di Amauri.

E’ l’idraulico il nuovo potenziale architetto del XXI secolo, l’estetica del tubo sostituirà quella del mattone o del calcestruzzo. Il raccordo “a gomito” e la flangia prenderanno il posto del timpano e della lesena rappresentando l’aspirazione costruttiva del nuovo millennio. La braga e il raccordo “a messicano” più espressive della finestra a nastro e del tetto-giardino.

Il Le Corbusier di domani sarà un tubista diplomato alle serali.

*: Tratto da “La metafisica dei tubi” di A. Nothomb (edizioni Voland)

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